Colloquio





Sono 5 sonetti in cui il Poeta parla con il pallido fantasma della madre morta, continuando il discorso dei tre sonetti di "Anniversario", e il Poeta giunge a rimproverare la madre d'esser morta troppo presto, quando i figli avevano bisogno di lei. S'intrecciano poi altri motivi: la speranza di una resurrezione dal sonno della morte, l'accettazione della morte, il ricordo della morte della madre. Infine, una luce: la vita del Poeta è consolata dal canto degli uccelli, dai fiori nati a primavera, dalla gioia di aver ricostruito attorno a sé la famiglia. Ora Ida e Maria sono in faccende per festeggiare il suo compleanno e anche la mamma può riposare in pace.


I

Brulli i pioppi nell'aria di viola (1)
sorgono sopra i lecci, sfavillando (2)
come oro: sopra il tetto della scuola
si sfrangia un orlo a fiocchi rosei (3) ; quando,

lieve come un sospiro, entra; (4) poi sola,
bianca, le mani al cuore, ristà, ansando;
gira gli occhi - dov'è la famigliuola? -
e ha sui labbri il suo sorriso blando; (5)

ma piange; Oh! sì: son quello: il tuo Giovanni...
un po' mutato. O madre seppellita,
che gli altri (6) lasci, oggi, per me (7) ; parliamo.

Io devo dirti cosa da molti anni
chiusa dentro. E non piangere. La vita
che tu mi desti - o madre, tu! - non l'amo.


1) Perchè vi si addensano le ombre della sera.
2) Per gli ultimi raggi del Sole.
3) Una nuvola si dissolve.
4) La madre.
5) Soave.
6) I famigliari morti nel camposanto. (Vedere "Il Giorno dei Morti")
7) Nel giorno del mio compleanno.


II

Non piangere. è uno sforzo così mesto
viverla senza di te questa vita!
ad ogni gioia è tanto dolor questo
subito ricordar te, seppellita!

Dai sogni, oh! brevi, della gioia desto
io mi ritrovo a piangere infinita -
mente con te: morire! così presto!
partire, o madre, come sei partita! (8)

Tu non dovevi. Con quegli occhi in pianto! (9)
Con quella bimba (10) che parlava appena!
Dovevi, o madre pia, dirlo a Dio padre,

che non potevi (11) ; e ti lasciasse; e in tanto
te la guarisse Dio quella tua vena
che ci si ruppe nel tuo cuore, o madre! (12)


8) Sei morta troppo presto.
9) Gli occhi della madre morente.
10) Maria, che aveva solo 3 anni.
11) Morire.
12) Che a noi si ruppe il cuore, quasi a indicare il morire dei figli nella madre.


III

Non piangere... Sarebbe così bello (13)
questo mondo odorato di mistero! (14)
sarebbe la tua via come un sentiero
con l'erba intatta, all'ombra dell'ornello. (15)

E nuova tu saresti (16) anche all'amello, (17)
anche al frullo del passero ciarliero!
Ma rasentando il muto cimitero,
ti fermeresti pallida al cancello...

E io direi del sonno delle larve
che sognano ali (18), e delle siepi tetre
ch'hanno nel sonno grappoli di fiori.

Pianger ti lascerei di ciò che sparve;
indi sorrideremmo anche alle pietre
bianche (19), là, tra cipressi e sicomori.


13) Se la madre vivesse
14) Quasi che il mistero vaporasse dalle cose.
15) Albero simile al frassino.
16) Vedesti la natura come nuova, con gioia rinnovata.
17) Pianta erbacea con fiori gialli.
18) Il pensiero dei famigliari sepolti nel cimitero suscita la speranza di una resurrezione dal sonno dela morte, come il baco da seta chiuso nel bozzolo si ridesta farfalla (l'immagine è di derivazione dantesca). Lo stesso significato di resurrezione e di vita ha l'immagine seguente della siepe brulla e spinosa che in primavera metterà nuovi fiori.
19) Alle tombe.


IV

Ma... ma tu piangi come non ti vidi
piangere mai, nel dolce viso attento.
Ma se lo so, con che dolce lamento
chiedevi al cielo e con che fiochi gridi
che ti lasciasse! (20) Quali madri i nidi
lasciano soli pigolare al vento?
S'era per mamma, t'avrei qui; lo sento:
viva, lo so: perdonami; sorridi.

Ma se lo so: fioccava senza fine; (21)
e tu, tra i ceri, con la morte accanto,
sentendo gli urli della tramontana,
parlavi, ancora, delle due bambine;
cui non potevi, non potevi, in tanto,
cucire i piccoli abiti di lana.


20) Vivere.
21) La madre del Poeta morì in inverno, il 18 dicembre 1868.
22) Anche vicina a morire, la madre si angustiava di non aver potuto fare le cose necessarie per l'inverno.


V

Ma sì: la vita mia (non piangere!) ora
non è poi tanto sola e tanto nera:
cantò (23) la cingallegra in su l'aurora,
cantava a mezzodì la capinera.

I canarini cantano la sera
per la mia cena piccola e canora:
poi nell'orto vedessi a primavera
come il ciclame e l'ulivella odora! (24)

I gerani vedrai, messi al coperto
dal gelo: qualche foglia ha la cedrina, (25)
ricordi? l'erba che piaceva a te...

Sorridi? a questo sbatter d'usci? è certo
Ida tua che sfaccenda, oggi, in cucina.
E Maria? Maria prega, oggi, per me. (26)


23) A Massa e a Livorno il Pascoli aveva molti uccellini in casa, che a ogni ora lo allietavano col canto.
24) Il ciclame fiorisce a primavera. L'ulivella sono arbusti con fiori rosei e frutti a bacche rosse.
25) Piccolo arbusto dalle foglie aromatiche.
26) Il Pascoli considerava le sorelle con un simbolismo: Ida era la vita attiva, Maria la vita contemplativa.



In cammino









La lirica parte dalla visione di un pellegrino, stanco, affranto, che si riposa e poi riprende il cammino, seguendo la direzione degli uccelli migratori.Questo fatto si carica di complessi significati che nell'immagine del pellegrino sottintendono il destino dell'uomo: la vita non ha maggiore importanza di uno sguardo distratto rivolto a uno sconosciuto per via, né peso maggiore di un sogno che abbia lasciato un'impressione indistinta e all'uomo non resta che aspettare la morte. Eppure il volo delle gru che emigrano dà nuova forza al viandante: è l'immagine dell'indistinta, incessante vita naturale? è un invito che scende dall'alto, dove splendono le stelle? è un sogno? è una speranza?

Siede sopra una pietra del cammino, (1)
a notte fonda, nel nebbioso piano:
e tra la nebbia sente il pellegrino
le foglie secche stridere pian piano:
il cielo geme,(2) immobile, lontano,
e l'uomo pensa: Non sorgerò più. (3)

Pensa: un'occhiata quale passeggero,
vana, ha gettata a passeggero in via, (4)
è la sua vita, e impresse nel pensiero
l'orma che lascia il sogno che s'oblìa; (5)
un'orma lieve, che non sa se sia
spento dolore o gioia che non fu.

Ed ecco - quasi sopra la sua tomba
siede (6), tra l'invisibile caduta - (7)
passa uno squillo tremulo di tromba (8)
che tra la nebbia, nel passar, saluta;
squillo che viene d'oltre l'ombra (9) muta,
d'oltre la nebbia: di più su: più su,

dove serene brillano le stelle
sul mar di nebbia, sul fumoso mare
in cui t'allunghi (10) in pallide fiammelle
tu, lento Carro, e tu, Stella polare,
passano squilli come di fanfare,
passa un nero triangolo di gru. (11)

Tra le serene costellazioni
vanno e la nebbia delle lande strane;
vanno incessanti a tiepidi valloni,
a verdi oasi, ad isole lontane,
a dilagate cerule fiumane, (12)
vanno al misterioso Timbuctù. (13)

Sono passate... Ma la testa alzava
dalla sua pietra intento il pellegrino
a quella voce, e tra la nebbia cava (14)
riprese il suo bordone e il suo destino: (15)
tranquillamente seguitò il cammino
dietro lo squillo che vanìa laggiù.


1) Della strada che sta percorrendo.
2) Il fruscio del vento sembra un gemito misterioso.
3) Non saprò più riprendere il cammino.
4) La sua vita è vana, simile all'occhiata distratta che un viandante getta ad un altro viandante.
5) La vita gli ha lasciato nel pensiero una traccia lievissima, come l'impressione di un sogno dimenticato.
6) Perchè la stanchezza e le delusioni sono tante che non si sente di riprendere il cammino della vita. La tomba è la "pietra del cammino" del verso 1.
7) Delle foglie.
8) Il verso acuto delle gru migranti.
9) Al di sopra della nebbia e del mistero che ci circonda.
10) Attraverso il velo di nebbia, le costellazioni appaiono deformate.
11) Le gru migranti si dispongono a triangolo, con il vertice nella direzione del volo.
12) Fiumi azzurri e straripanti.
13) Città dell'odierno Mali, oltre il Sahara. Qui vuole indicare un luogo lontano e misterioso.
14) Priva di consistenza.
15) Impugnò il bastone e riprese la via, seguendo il suo destino.






Ultimo sogno





Il Poeta è ammalato, ma la febbre che, in una specie di delirio, gli aveva dato la sensazione di un fragore di carri in corsa selvaggia, è caduta all'improvviso. Nello spirito intorpidito emergono nuove impressioni: l'immagine della madre morta gli suscita un desiderio di morire mentre il fruscio di un albero mosso dal vento o di un fiume che scorre verso un mare inesistente, diventa il simbolo della vita che corre sempre più lontano, vanamente, verso una meta oscura.

Da (1) un immoto (2) fragor di carriaggi
ferrei, moventi verso l'infinito
tra schiocchi acuti e fremiti selvaggi...
un silenzio improvviso. Ero guarito.

Era spirato il nembo del mio male
in un alito. (3) Un muovere di ciglia;
e vidi la mia madre al capezzale:
io la guardava senza meraviglia.(4)

Libero! (5) ... inerte sì (6), forse, quand'io (7)
le mani al petto sciogliere volessi: (8)
ma non volevo. Udivasi un fruscìo
sottile, assiduo, quasi di cipressi;

quasi d'un fiume che cercasse il mare
inesistente, in un immenso piano:
io ne seguiva il vano sussurrare,
sempre lo stesso, sempre più lontano.


1) Dopo.  
2  Perchè il Poeta sente il fragore dei carri nel delirio, immobile nel letto.
3) Improvvisamente.
4) Di vederla accanto a sé sapendo ch'era morta.
5) Dal male.
6) Senza forze.
7) Nel caso che io.
8) Come si usa comporre i morti.


****************


Rimangano rimangano questi canti su la tomba di mio padre!...Sono frulli d'uccelli, stormire di cipressi, lontano cantare di campane: non disdicono a un camposanto. Di qualche lagrima, di qualche singulto, spero trovar perdono, poichè qui meno che altrove il lettore potrà o vorrà dire: che me ne importa del dolor tuo?
Uomo che leggi, furono uomini che apersero quella tomba. E in quella finì tutta una fiorente famiglia. E la tomba (ricordo un'usanza africana) non spicca nel deserto per i candidi sassi della vendetta: è greggia, tetra, nera.
Ma l'uomo che da quel nero ha oscurato la vita, ti chiama a benedire la vita, che è bella, tutta bella; cioè sarebbe; se noi non la guastassimo a noi e agli altri. Bella sarebbe; anche nel pianto che fosse però rugiada di sereno, non scroscio di tempesta; anche nel momento ultimo, quando gli occhi stanchi di contemplare si chiudono come a raccogliere e riporre nell'anima la visione, per sempre. Ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce, e più il male altrui che il proprio bene. E del male volontario dànno, a torto, biasimo alla natura, madre dolcissima, che anche nello spengerci sembra che ci culli e addormenti. Oh! lasciamo fare a lei, che sa quello che fa, e ci vuol bene.
Questa è la parola che dico ora con voce non anco ben sicura e chiara, e che ripeterò meglio col tempo: le dia ora qualche soavità il pensiero che questa parola potrebbe esser di odio, e è d'amore.

Livorno, marzo del 1894