Ultimo sogno
Il Poeta è ammalato, ma la febbre che, in una specie di delirio, gli aveva dato la sensazione di un fragore di carri in corsa selvaggia, è caduta all'improvviso. Nello spirito intorpidito emergono nuove impressioni: l'immagine della madre morta gli suscita un desiderio di morire mentre il fruscio di un albero mosso dal vento o di un fiume che scorre verso un mare inesistente, diventa il simbolo della vita che corre sempre più lontano, vanamente, verso una meta oscura.
Da (1) un immoto (2) fragor di carriaggi
ferrei, moventi verso l'infinito
tra schiocchi acuti e fremiti selvaggi...
un silenzio improvviso. Ero guarito.
Era spirato il nembo del mio male
in un alito. (3) Un muovere di ciglia;
e vidi la mia madre al capezzale:
io la guardava senza meraviglia.(4)
Libero! (5) ... inerte sì (6), forse, quand'io (7)
le mani al petto sciogliere volessi: (8)
ma non volevo. Udivasi un fruscìo
sottile, assiduo, quasi di cipressi;
quasi d'un fiume che cercasse il mare
inesistente, in un immenso piano:
io ne seguiva il vano sussurrare,
sempre lo stesso, sempre più lontano.
1) Dopo.
2 Perchè il Poeta sente il fragore dei carri nel delirio, immobile nel letto.
3) Improvvisamente.
4) Di vederla accanto a sé sapendo ch'era morta.
5) Dal male.
6) Senza forze.
7) Nel caso che io.
8) Come si usa comporre i morti.
****************
Rimangano rimangano questi canti su la tomba di mio padre!...Sono frulli d'uccelli, stormire di cipressi, lontano cantare di campane: non disdicono a un camposanto. Di qualche lagrima, di qualche singulto, spero trovar perdono, poichè qui meno che altrove il lettore potrà o vorrà dire: che me ne importa del dolor tuo?
Uomo che leggi, furono uomini che apersero quella tomba. E in quella finì tutta una fiorente famiglia. E la tomba (ricordo un'usanza africana) non spicca nel deserto per i candidi sassi della vendetta: è greggia, tetra, nera.
Ma l'uomo che da quel nero ha oscurato la vita, ti chiama a benedire la vita, che è bella, tutta bella; cioè sarebbe; se noi non la guastassimo a noi e agli altri. Bella sarebbe; anche nel pianto che fosse però rugiada di sereno, non scroscio di tempesta; anche nel momento ultimo, quando gli occhi stanchi di contemplare si chiudono come a raccogliere e riporre nell'anima la visione, per sempre. Ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce, e più il male altrui che il proprio bene. E del male volontario dànno, a torto, biasimo alla natura, madre dolcissima, che anche nello spengerci sembra che ci culli e addormenti. Oh! lasciamo fare a lei, che sa quello che fa, e ci vuol bene.
Questa è la parola che dico ora con voce non anco ben sicura e chiara, e che ripeterò meglio col tempo: le dia ora qualche soavità il pensiero che questa parola potrebbe esser di odio, e è d'amore.
Livorno, marzo del 1894