Al fuoco




Un vecchio che dorme accanto al fuoco e un ceppo che brucia nel focolare fanno un identico sogno, quello di tornare in un mondo di giovinezza, che per l'uno è rappresentato da un nugolo di bimbi, per l'altro dai fiori che l'adornavano quand'era parte di un albero. Ma il sogno si interrompe bruscamente e il ceppo continua a bruciare in un suo destino di morte, mentre il vecchio trova al suo risveglio un'amara solitudine.

Dorme il vecchio avanti i ciocchi.
Sogna un nuvolo di bimbi,
che cinguetta. Il cepo al foco
russa roco.(1)

Dorme anch'esso. A tutti i nocchi (2)
sogna grappoli e corimbi. (3)
Rosei pendono nell'aria solitaria.

Bianchi i bimbi tra il fogliame
su su, a quel roseo sorriso (4)
vanno. Il ceppo occhi di brace (5)
apre, e tace.

Ecco pendulo lo sciame (6)
dal grande albero improvviso,
su su. Il vecchio nel cor teme,
guarda e geme. (7)

Ogni bimbo al suo fiore alza
la mano e... scivola e va.
Sbarra il ceppo la pupilla:
crocchia e brilla. ( 8 )

E il vegliardo, al crocchiar, balza
nella rotta oscurità.
Gira lento gli occhi. Solo!
solo! solo!


1) è lo sfrigolio del legno che brucia, ma nel verbo è già l'immagine del verso successivo.
2) Nodosità degli alberi.
3) Insieme di piccoli fiori deposti come una specie di grappolo.
4) Lo splendore rosato dei fiori.
5) Riferimento dantesco: "Caron Dimonio, con occhi di bragia" (Inf. III, 109)
6) Di bambini che saliti sull'albero si protendono ai rami per coglierne i fiori.
7) Che i bimbi cadan dall'albero.
8) Scricchiola forte e manda fiamma.



Il lampo



Questa lirica e la seguente costituiscono due parti di uno stesso momento: l'inizio di un temporale, presentato dal libero aggregarsi di sensazioni acustiche e visive: dapprima è un silenzio pauroso dove il verso si riduce a macchia di colore ("Il lampo") poi le immagini richiamano il fragore del tuono e la parola si riduce spesso a puri valori fonici: il lampo che mostra la natura sconvolta diventa la rivelazioni della nostra realtà di dolore e il canto della madre che culla il bambino (nel "Tuono") rivela che sopra le tempeste della vita resta consolante l'amore.


E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, (1) livida, in sussulto;
il cielo ingombro, (2) tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto (3)
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.


1) Come se respirasse con affanno
2) Di nuvole squarciate dal vento (quindi disfatto).
3) Perchè la bufera non è ancora scoppiata in tutta la sua violenza.
  

Il tuono




E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo (1)
che frana, il tuono rimbombò di schianto :
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto (2)
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.


1) Alto e scosceso.
2) Risuonò più smorzato, come l'onda che si spezza sulla spiaggia e poi vi torna a battere più debole.

Lontana




Un canto lontano nello spazio, ma non tanto da non poter riconescere in esso parole d'amore; eppure così lontano nel tempo da diventare dolore e consapevolezza che ogni sogno è destinato a finire. La fonte è la "Sera del dì di festa" di Leopardi.

Cantare, il giorno, ti sentii: felice?
Cantavi; la tua voce era lontana:
lontana come di stornellatrice
per la campagna frondeggiante (1) e piana.

Lontana sì, ma io sentìa nel cuore
che quel lontano canto era d'amore:

ma sì lontana, che quel dolce canto,
dentro, nel cuore, mi moriva in pianto.


1) Ricca di fronte.

I ciechi




In un giorno di festa, alcuni mendicanti ciechi chiedono l'elemosina lungo una strada, ma la gente passa distratta e ad essi resta solo l'amarezza di sentire i passi e le voci che sopraggiungono e si dileguano indifferenti.

Siedono lungo il fosso, al solleone,
fuor dello stormeggiante paesello. (1)
Passa un trotto (2) via via tra il polverone,
una pesta, (3) un alterco, uno stornello:

e da terra (4) una grave salmodia
si leva, una preghiera, al loro cospetto.
- Il nostro pane - gemono via via:
il nostro, il nostro: tu, Gesù, l'hai detto. (5)


1) Da cui viene il suono delle campane a stormo.
2) Una carrozza con i cavalli al trotto.
3) Un rumore di passi.
4) Dove sono seduti i mendicanti.
5) Nella preghiera del "Padre nostro", Gesù ci invita a chiedere al Padre il nostro pane quotidiano; qui però c'è l'idea che il pane dovrebbe spettare di diritto a tutti gli uomini.



Dalla spiaggia




Sulla distesa del mare, quasi per un miraggio, appare un bianco colonnato e il mormorio delle onde sembra cantare la storia; ma è un attimo breve che lascia subito il posto a due barche nere come bare, e il mare sembra piangere lo sgomento di quella visione di morte.


C'è sopra il mare tutto abbonacciato (1)
il tremolare quasi d'una maglia; (2)
in fondo in fondo un ermo (3) colonnato,
nivee colonne d'un candor che abbaglia:

una rovina bianca e solitaria,
là dove azzurra è l'acqua come l'aria:

il mare nella calma dell'estate
ne canta (4) tra le sue larghe sorsate.

O bianco tempio, che credei vedere
nel chiaro giorno, dove sei vanito?
Due barche stanno immobilmente nere,
due barche in panna (5) in mezzo all'infinito.

E le due barche sembrano due bare
smarrite in mezzo all'infinito mare;

e piano il mare scivola alla riva
e ne sospira nella calma estiva.


1) In bonaccia.
2) Il brillio delle onde che riflettono il sole crea come un intreccio di fili luminosi.
3) Solitario.
4) Ne racconta la storia.
5) Immobili.



Notte di neve




Nell'ombra della notte si profila l'ombra di un cimitero coperto di neve, mentre un suno di campane si muta in un'invocazione di pace.

Pace! grida la campana,
ma lontana, fioca. (1) Là

un marmoreo cimitero (2)
sorge, su cui l'ombra tace:
e ne sfuma al cielo nero
un chiarore ampio e fugace.
Pace! pace! pace! pace!
nella bianca oscurità. (3)


1) Perchè il suono è soffocato dalla neve.
2) La neve è bianca come il marmo.
3) L'oscurità non è completa per il chiarore della neve.

Nevicata




Nevica: l'aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve:
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco: (1)
cade (2) del bianco con un tonfo lieve.

E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera:
passano bimbi: un balbettìo di pianto;
passa una madre: passa una preghiera.


1) Il soffio del vento.
2) Dagli alberi.

Notte dolorosa




Si muove il cielo (1), tacito e lontano:

la terra dorme, e non la vuol (2) destare;
dormono l'acque, i monti, le brughiere.
Ma no, ché sente sospirare il mare,
gemere sente le capanne nere:
v'è dentro un bimbo che non può dormire:
piange; e le stelle passano piano piano.


1) Sorgono e tramontano le stelle.
2) Il soggetto è il cielo.

Notte di vento




La lirica allude all'assenza, alla morte di qualcuno che ha lasciato il poeta nella solitudine e gli ha reso più triste e cupa una notte di vento, per questo la bufera si muta in voce di spettri o di grida misteriose, mentre le interrogazioni dell'ultima strofa sottolineano la presenza della morte di fronte all'uomo ch'è solo e senza conforto. è molto probabile l'influsso del "Corvo" di Poe.

Allora sentii che non c'era,
che non ci sarebbe mai più...
La tenebra vidi più nera,
più lugubre udii la bufera...
uhh...uuuh...uuuh...

Venìa come un volo di spetri,
gridando ad ogni émpito (1) più:
un fragile squillo di vetri (2)
seguiva quelli ululi tetri...
uuh...uuuh...uuuh...

Oh! Solo (3) nell'ombra che porta
quei gridi... (chi passa laggiù?)
Oh! solo nell'ombra già morta
per sempre... (chi batte alla porta?) (4)
uuh...uuuh...uuh...



1) Soffio di vento.
2) Spazzati dal vento.
3) è il Poeta.
4) Nella morte eterna, nell'oscurità della morte.



La baia tranquilla




La baia è l'immagine di una sicurezza che dia pace alla vita, e assieme allude alla morte, l'ultima pace, sintetizzata da cipressi neri su un poggio, dove c'è forse un cimitero.

Getta l'ancora, amor mio:
non un'onda in questa baia.
Quale assiduo sciacquìo
fanno l'acque tra la ghiaia!

Vien dal lido solatìo,
vien di là dalla giuncaia, (1)
lungo vien come un addio,
un cantar di marinaia.

Tra le vetrici (2) e gli ontani
vedi un fiume luccicare;

uno stormo di gabbiani
nel turchino biancheggiare;
e sul poggio, più lontani,
i cipressi neri stare.

Mare! mare!
dolce là, dal poggio azzurro,
il tuo urlo e il tuo sussurro.


1) Terreno acquitrinoso coperto di giunchi.
2) I salici.



Il bacio del morto




In una lettera non datata ad Orvieto, Pascoli scriveva a chiarimento di questa poesia: "Quando la notte si ha la febbre e la mattina ci troviamo un fignolo [infiammazione] sui labbri, noi diciamo che fu il bacio di un morto. Di chi?". In questa lirica è una presenza femminile che, in sogno, piange accanto al poeta, lo bacia e scompare, lasciando nelle cose il senso di un mistero incombente.

I

è tacito, è grigio il mattino;
la terra ha un odore di funghi;
di gocciole è pieno il giardino.

Immobili tra la leggiera
caligine gli alberi: lunghi
lamenti di vaporiera. (1)

I solchi (2) ho nel cuore, i sussulti,
d'un pianto sognato: parole,
sospiri avanzati (3) ai singulti:

un solco (4) sul labbro, che duole.


II

Chi sei, che venisti, coi lievi
tuoi passi, da me nella notte?
Non so; non ricordo: piangevi.

Piangevi: io sentii per il viso
mio piangere fredde, dirotte,
le stille dall'occhi tuo fiso

su me: io sentii che accostavi
le labbra al mio labbro a baciarmi;
e invano volli io levar gravi.

le palpebre: gravi: due marmi.


III

Chi sei? donde vieni? presente
tuttora? (5) mi vedi? mi sai? (6)
e lacrimi tacitamente?

Chi sei? Trema ancora la porta. (7)
Certo eri di quelli che amai,
ma forse non so che sei morta...

Né so come un'ombra d'arcano,
tra l'umida nebbia leggiera,
io senta in quel lungo lontano

saluto di vaporiera.


1) Locomotiva.
2) La traccia di un sogno doloroso.
3) Seguiti al molto piangere.
4) Un'infiammazione.
5) Mi sei ancora vicina?
6) Mi conosci?
7) Perchè il fantasma è appena uscito.



La notte dei Morti






Nella ricorrenza dei morti il 2 novembre, si recitano attorno al focolare le preghiere per i defunti, mentre nel silenzio dei campi mormora un fiume. In quel momento il poeta ascolta la voce dei morti: chi ora è morto, un tempo era vivo e pregava per altri morti che pure un giorno furono vivi. Il corso del fiume diventa l'immagine della vita che si spegne inevitabilmente nella morte.


I

La casa è serrata; ma desta:
ne fuma alla luna il camino.
Non filano o torcono: è festa.

Scoppietta il castagno, il paiolo
borbotta. Sul desco c'è il vino,
cui (1) spilla (2) il capoccio (3) da solo.

In tanto essi pregano al lume
del fuoco: via via la corteccia (4)
schizza arida (5)... Mormora il fiume

con rotto fragore di breccia (6) ...


II

è forse (io non odo (7) : non sento
che il fiume passare, portare
quel murmure al mare) d'un lento

vegliardo la tremula voce
che intuona il rosario, e che pare
che venga da sotto una croce,

da sotto un gran peso; da lunge. (8)
Quei poveri vecchi bisbigli
sonora una romba raggiunge (9)

col trillo dei figli de' figli.


III

Oh! i morti! Pregarono anch'essi, (10)
la notte dei morti, per quelli
che tacciono sotto i cipressi.


Passarono... O cupo tinnito
di squille (11) dagli ermi castelli!
o fiume dall'inno infinito! (12)

Passarono... Sopra la luna
che tacita sembra che chiami,
io vedo passare un velo, una

breve ombra, ma bianca, di sciami. (13)



1) Che.
2) Versa.
3) è il capo del nucleo famigliare contadino.
4) Della legna che brucia.
5) Prosciugata dal calore.
6) Pietrisco.
7) Il Poeta che passa non sente distintamente le parole di chi prega, ma soltanto un mormorio di voci che si confonde col mormorio del fiume.
8) La voce è soffocata perchè viene da una tomba.
9) Alle parole del vecchio segue il rumore confuso dei famigliari che secondano la preghiera.
10) Quando erano vivi.
11) Suono di campane.
12) L'incessante mormorio dell'acqua.
13) Le ombre dei defunti che salgono al cielo.



I due cugini






I


Si amavano i bimbi cugini.
Pareva, un incontro di loro,
l'incontro di due lucherini: (1)

volavano. Nell'abbracciarsi
i tòcchi (2) cadevano, e l'oro
mescevano i riccioli sparsi.

Poi, l'uno appassì, come rosa
che in boccio appassisce nell'orto;
ma l'altra la piccola sposa

rimase del piccolo morto. (3)


II


Tu, piccola sposa, crescesti:
man mano intrecciavi i capelli, (4)
man mano allungavi le vesti.

Crescevi sott'occhi che negano
ancora (5); ed i petali snelli (6)
cadevano: il fiore già lega.(7)

Ma l'altro non crebbe. Dal mite
suo cuore, ora, senza perchè,
fioriscono le margherite

e i non ti scordare di me. (8)



III


Ma tu... ma tu l'ami. Lo vedi,
lo chiami. La senti da lunge
la fretta dei taciti piedi...(9)

Tu l'ami, egli t'ama tuttora;
ma egli col capo non giunge (10)
al seno tuo nuovo, che ignora. (11)

Egli esita: avanti la pura
tua fronte ricinta d'un nimbo, (12)
piangendo l'antica sventura (13)

tentenna il suo capo di bimbo.



1) Il paragone deriva da un passo dell'"Ornitologia Toscana" del Savi che descrive i costumi affettuosi degli uccellini chiamati lucherini.
2) I berretti.
3) L'amore giovanile continua dopo la morte.
4) Da bimbi li portavano sciolti.
5) Davanti agli occhi dei genitori che non vorrebbero vedere i figli crescere tanto in fretta.
6) I riccioli dell'adolescenza.
7) Sta per trasformarsi in frutto e quindi i petali cadono (la bimba sta crescendo).
8) Sulla tomba.
9) Come se ancora il bambino le corresse incontro.
10) Perchè è rimasto bambino.
11) Quando il bimbo era vivo, la fanciulla non era ancora sviluppata.
12) Di molti riccioli.
13) La morte.



Placido






Placido David era un cuginetto del Pascoli che morì di meningite a Sogliano, nel 1894, a 14 anni. Giovanni e Maria erano subito accorsi, ma al loro arrivo, il ragazzo era già morto. La tristezza di quel momento è rievocata dal Poeta attraverso particolari come la quiete del paese in contrasto con l'angoscia dell'animo, il silenzio del cimitero approfondito dal cupo ronzio di un insetto, le croci solitarie, la terra smossa della tomba, e il pensiero della morte è reso più straziante dai gridi festosi dei bimbi che vangono da lontano.


I

Io dissi a quel vecchio,(1) "Dove?" Io
cercava un fanciullo mio buono,
smarrito: il mio Placido: mio!

Cercavo quelli occhi (...un cipresso?) (2)
co' quali chiedeva perdono
di vivere, d'esserci anch'esso.

Cercavo. Ero giunto. Era quello
per certo il paese azzurrino
suo: monti, una selva, un castello,

poi monti: più su, San Marino.


II

Nel chiuso (... una croce?) noi soli
tre s'era: non c'era altro fiore
che l'oro di due girasoli.

Nel chiuso (3) non c'era altra voce,
rammento, che il cupo stridore
d'un fuco (4) ronzante a una croce;

e qualche fruscìo di virgulto
al passo del vecchio, che aveva
le chiavi; e d'un tratto, un singulto

di lei: di Maria, che piangeva.



III

E in fine, guardandosi attorno,
"Qui" (5) disse quell'uomo. A Sogliano
la torre sonò mezzogiorno.

Stridevano gli usci, i camini
fumavano tutti: lontano
s'udiva un vocìo di bambini.

E lui? "Qui" mi disse: "Non vede?"
Io vidi: tra il grigio becchino
e noi, vidi un nero, al mio piede,

di terra ah! scavata il mattino!



1) è il vetturino della diligenza. Il Poeta gli domanda se Placido è ancora a casa sua, oppure se è già al cimitero.
2) Il cipresso è simbolo della morte.
3) Nel recinto del cimitero.
4) Il maschio dell'ape.
5) è sepolto qui.



La sirena






Il fischio di una nave che si allontana diventa il canto di sirene lusingatrici. Ma l'emigrante che parte e vede scomparire i luoghi più cari torna col pensiero ai luoghi domestici, con la consapevolezza che niente può pagare la felicità delle piccole cose quotidiane.

La sera, fra il sussurrìo lento
dell'acqua che succhia la rena, (1)
del mare nebbioso un lamento
si leva: il tuo canto, o Sirena.

E sembra che salga, che salga,
poi rompa in un gemito grave.
E l'onda sospira tra l'alga,
e passa una larva di nave: (2)

un'ombra di nave che sfuma
nel grigio, ove muore quel grido;
che porta con sé, nella bruma,
dei cuori che tornano al lido: (3)

al lido che fugge, che scese (4)
già nella caligine, via;
che porta via tutto, (5) le chiese
che suonano l'avemaria,

le case che su per la balza
nel grigio traspaiono appena,
e l'ombra del fumo che s'alza
tra forse il brusìo della cena.


1) Trascina via.
2) Fantasma di nave, tra la nebbia.
3) Dei cuori che ritornano col desiderio della terra che hanno lasciato. Il Nava ricorda le famose terzine dantesche: "Era già l'ora che volge il desio..." (Purg. VIII 1-6)
4) è avvolto nella nebbia.
5) Impedisce di vedere, perchè è troppo lontano dalla nave.



Piano e monte





Al crepuscolo i monti si oscurano e la vita si anima nelle case del paese, al fondo della valle. La consueta ambivalenza di vita e morte, nel contrasto fra la quiete operosa del paese e la solitudine dei monti, dove il grido della civetta diventa come un presagio di dolore: l'unico rifugio è ancora il nido famigliare.

Il disco, grandissimo, pende (1)
rossastro in un latte d'opale: (2)
e intaglia (3) le case ed accende
i lecci nel nero viale;

che fumano, come foreste,
di polvere gialla e vermiglia: (4)
s'annuvola in rosa e celeste (5)
quel botro color di conchiglia. (6)

Qua lampi di vetri, (7) qua lente
cantate, qua grida confuse:
là placido il muto oriente (8)
nell'ombra dei monti si schiuse.

Si vedono opache le vette,
è pace e silenzio tra i monti:
un breve squittir di civette,
un murmure lungo di fonti:

via via con fragore interrotto (9)
si serra la casa tranquilla:
è chiusa: nel bianco salotto
la tacita lampada brilla.


1) è il Sole.
2) Tra la nebbia lattiginosa e iridiscente.
3) Fa risaltare.
4) Per la nebbia che s'alza da terra, dorata dal Sole.
5) Si riempie di nuvole tinte dei colori del tramonto.
6) Precipizio. (La volta del cielo è come un precipizio rovesciato)
7) Per il sole che vi si riflette.
8) Perchè vi si è spento anche l'ultimo chiarore del sole.
9) Delle porte e delle finestre che si chiudono.



Il cuore del cipresso







I


O cipresso, che solo e nero stacchi (1)
dal vitreo (2) cielo, sopra lo sterpeto
irto di cardi e stridulo di biacchi: (3)

in te sovente, al tempo delle more,
odono i bimbi un pispillìo secreto, (4)
come d'un nido che ti sogni in cuore. (5)

L'ultima cova. Tu canti (6) sommesso
mentre s'allunga (7) l'ombra taciturna
nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
ella (8) ricerchi tra que' bronchi (9) un'urna. (10)


II

Più brevi i giorni, e l'ombra ogni dì meno
s'indugia e cerca, irrequieta, al sole; (11)
e il sole è freddo e pallido il sereno.

L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra: (12)
nell'ombra ove le stelle errano sole.
E il rovo arrossa e con le spine ingombra

tutti i sentieri, e cadono già roggie
le foglie intorno (indifferente oscilla
l'ermo cipresso), e già le prime pioggie
fischiano, ed il libeccio (13) ulula e squilla.


III


E il tuo nido? il tuo nido?... Ulula forte
il vento e t'urta e ti percuote a lungo:
tu sorgi, e resti; simile alla Morte.

E il tuo cuore? il tuo cuore? ... Orrida trebbia (14)
l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
di nebbia nera tra la grigia nebbia. (15)

E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
la neve, muta a guisa dal pensiero,
cade. Tra il bianco e tacito franare (16)
tu stai, gigante immobilmente nero.



1) Risalti nel cielo.
2) Nitido e freddo come il vetro.
3) Serpenti non velenosi che vivono nelle macchie ed emettono un sibilo stridente.
4) Un bisbiglio di uccelli appena nati.
5) Il bisbiglio era lieve come fosse in un sogno, non reale.
6) Con lo stormire delle fronde e il pigolio degli uccelli.
7) Inoltrandosi l'autunno, il sole è sempre più basso sull'orizzonte.
8) è l'ombra.
9) Sterpaglia.
10) Una tomba.
11) In autunno il sole tramonta prima che in estate e l'ombra delle cose sparisce più presto.
12) L'ombra del cipresso è assorbita dall'ombra della sera.
13) Vento di sud-est.
14) Batte furiosamente.
15) Quasi indistinto come un nero fantasma.
16) Il fitto cadere della neve, simile a una frana del cielo.



Fior d'acanto






L'acanto è un fiore amaro e spinoso: sdegnato dalla superba ape comune, è invece cercato dall'umile ape legnaiola, che vi trae il nettare per il suo miele.


Fiore di carta rigida, (1) dentato
i petali di fini aghi (2), che snello
sorgi dal cespo, come un serpe alato
da un capitello; (3)

fiore che ringhi dai diritti scapi
con bocche tue di piccoli ippogrifi; (4)
fior del Poeta! industria te d'api
schifa, e tu schifi. (5)

L'ape te sdegna, piccola e regale;
ma spesso io vidi l'ape legnaiola (6)
celare il corpo che riluce, quale
nera viola,

dentro il tuo duro calice, e rapirti
non so che buono, che da te pur viene
come le viti di tra i sassi e i mirti
di tra l'arene.

Lo sa la figlia del pastor, che vuoto (7)
un legno fende e lieta pasce quanto
miele le giova: il tuo nettare ignoto,
fiore d'acanto.



1) Rigido come la carta, dura.
2) Con i petali dentati.
3) Secondo Vitruvio, l'acanto, con la forma delle sue foglie, diede allo scultore Callimaco l'idea del capitello corinzio.
4) Perchè il fiore dell'acanto è simile a una bocca strana (l'ippografo è un mitico cavallo alato) che ringhia. Gli scapi sono gli steli che reggono i fiori, senza le foglie.
5) L'operosità delle api comuni ti respinge.
6) Tipo di ape più piccola di quella comune: scava gallerie nel legno degli alberi e vi fabbrica le cellette per il miele.
7) Scavato dalle api.



Nel giardino







è un momento crepuscolare che all'inizio propone le consuete immagini simboliche: come il bocciolo di primavera s'è mutato nelle bacche d'autunno, e come le foglie di marzo in ottobre cadono secche, così la vita è un moto incessante verso la morte; e come il crepuscolo dell'alba somiglia a quello del tramonto e i colori di primavera a quelli dell'autunno, così morte e vita si sovrappongono nel corso dell'esistenza. Relativamente inattesa la conclusione, del resto aggiunta in un secondo momento.

Nel mio giardino (1), là nel canto oscuro
dove ora il pettirosso tintinnìa,
col gelsomino rampicante al muro,
c'è la gaggìa; (2)

e or che ottobre (3) dentro la vermiglia (4)
foresta il marzo rende morto al suolo,
e sembra marzo, come rassomiglia
bacca a bocciuolo,(5)
alba a tramonto; nelle tenui trine (6)
l'una si stringe, (7) al roseo vespro, quando
l'altro (8) i suoi fiori, candide stelline,
apre, alitando, (9)

ed al sospiro dell'avemaria,
quando nel bosco dalle cime nude
il dì s'esala, (10) il cuore in una pia
ombra si chiude; (11)

e l'anima in quell'ombra di ricordi
apre corolle che imbocciar non vide; (12)
e l'ombra di fior d'angelo (13) e di fior di
spina sorride. (14)


1) è il giardino della casa che il Pascoli abitava a Livorno.
2) Arbusto con fiori gialli profumati.
3) L'autunno fa morire al suolo le foglie nate in primavera.
4) Per i colori delle foglie d'autunno.
5) I colori autunnali assomigliano a quelli primaverili, come assomiglia il frutto al fiore.
6) Le foglie della gaggia sembrano formare una trina.
7) Le foglie al tramonto si chiudono su se stesse.
8) Il gelsomino.
9) Esalando il profumo.
10) Il giorno sembra dileguare dalle cime degli alberi che ricevono l'ultima luce.
11) è l'ombra, il tepore dei ricordi famigliari.
12) L'anima apre "Fiori" (sensazioni o sentimenti) di cui non vide formarsi il bocciolo (di cui non conosce le fonti).
13) Arbusto delle sassifraghe, dai fiori bianchi e profumati.
14) è incerto se si tratta del biancospino (in toscano appunto "fior di spina") o della gaggia (per le spine acute).



Nel parco






Certo il signore, e la chiomata moglie, (1)
partì pe' campi, ché già il tordo zirla: (2)
muto, tra un'ampia musica di foglie
(dolce sentirla

d'autunno, a tarda notte, se il libeccio (3)
soffia con lunghi fremiti sonori),
muto è il palazzo. S'ode un cicaleccio (4)
di tra gli allori;

un cicaleccio donde acuti appelli
s'alzano come strilli di piviere (5) :
il gatto è fuori (6) : ruzzano i monelli
del giardiniere.

Torvo, aggrondato, il candido palazzo
formicolare a' piedi suoi li mira;
e sì n'echeggia (7) un cupo, a quel rombazzo,
battito d'ira;

ma non s'adira il giovinetto alloro,
il leccio, il pioppo tremulo ed il lento
salice: a prova (8) corrono con loro;
cantano al vento.


1) L'avvocato Mario Racah che aveva affittato al Pascoli la casa di Livorno. La Signore è chiomata, ovvero dai capelli folti, a imitazione degli epiteti omerici.
2) Il verso del tordo.
3) Vento di sud-est.
4) Il cinguettio degli uccelli.
5) Piccolo uccello di palude.
6) Il padrone di casa manca e i bambini possono giocare tranquillamente nel parco.
7) Al chiasso dei bambini (rombazzo) risponde un'eco cupa nel palazzo vuoto come un iroso brontolio.
8) Quasi a gara con i ragazzi.



Rosa di macchia






La lirica contrappone la vistosa rosa centofoglie alla più umile rosa canina: la prima è colta da tutti che se ne vogliono adornare, e quindi lascerà triste e spoglio il rosaio; la seconda, quasi ignorata, potrà maturare e trasformarsi nei frutti che in inverno allieteranno la pianta di lucide bacche. Alla fine risuona un altro motivo: la fanciulla che all'alba scende lieta il sentiero e che alla sera lo risale muta, diventa l'immagine dei sogni giovanili che la vita finirà per spegnere.

Rosa di macchia, che dall'irta (1) rama
ridi non vista a quella montanina, (2)
che stornellando (3) passa e che ti chiama
rosa canina;

se sottil mano i fiori tuoi non coglie,
non ti dolore della tua fortuna:
le invidiate rose centofoglie
colgano (4) a una

a una: al freddo sibilar del vento
che l'arse foglie a una a una stacca,
irto il rosaio dondolerà lento
senza una bacca;

ma tu di bacche brillerai nel lutto (5)
del grigio inverno; al rifiorir dell'anno
i fiori nuovi a qualche vizzo frutto (6)
sorrideranno:

e te, col tempo, stupirà cresciuta (7)
quella che all'alba svolta già leggiera
col suo stornello, e risalirà muta,
forse, una sera.


1) Spinosa.
2) Ragazza di montagna.
3) Cantando stornelli.
4) Mani indeterminate colgono le rose centofoglie.
5) Nella cupa atmosfera.
6) Rimasto dall'anno precedente.
7) La "montanina" si stupirà trovandoti cresciuta.



Pervinca






So perchè sempre ad un pensier di cielo (1)
misterioso il tuo pensier s'avvinca,
sì come stelo tu confondi a stelo, (2)
vinca (3) pervinca;

io ti coglieva (4) sotto i vecchi tronchi
nella foresta d'un convento oscura,
o presso l'arche, tra vilucchi (5) e bronchi, (6)
lungo la mura.

Solo tra l'arche (7) errava un cappuccino;
pareva spettro da quell'arche uscito,
bianco la barba e gli occhi d'un turchino
vuoto,(8) infinito;

come il tuo fiore; e io credea vedere
occhi di cielo, dallo sguardo fiso,
d'anacoreti, allo svoltar, (9) tra nere
ombre, improvviso;

e il bosco alzava, al palpito del vento,
una confusa e morta salmodia, (10)
mentre squillava, grave, dal convento
l'avemaria.


1) Per il suo colore azzurro, il pensiero della pervinca si lega a un pensiero di cielo.
2) I rami striscianti della pianta si aggrovigliano tra loro.
3) Altro nome della pervinca.
4) è un ricordo delle passeggiate, compiute negli anni di Urbino, nel bosco del convento dei Cappuccini. Nel 1901, il Pascoli scriveva: "Io prediligeva i Cappuccini col bosco di pervinche, che per noi erano viole senza odore."
5) Piante rampicanti con fiori bianchi.
6) Sterpaglia.
7) Tombe monumentali di pietra. Il Pascoli abbina il colore della pervinca agli occhi del frate.
8) Privo di espressione.
9) Quando alla curva di un sentiero  mi imbattevo in quel fiore.
10) Il fruscio smorzato delle foglie.



Il dittamo






In una nota manoscritta il Pascoli indica la fonte di questa lirica in un passo di Cicerone e in alcuni versi di Virgilio, nei quali è descritta la pianta del dittamo e se ne mostrano le virtù medicinali.

Dittamo (1) nato dall'umile finestra,
donde per Corpus Domini sorrisi
alla soave tra fior di ginestra
e fiordalisi

processione; io so di te, che immensa
virtù possiedi ne' chiomanti capi, (2)
cespo lanoso ed olezzante, mensa
ricca dell'api.

Te, con la freccia tremolante al dosso, (3)
cerca nei monti il daino selvaggio,
farmaco certo - di lui segue un rosso
rigo (4) il viaggio-

Dittamo blando per la mia ferita
l'avete, (5) o balze degli aerei monti,
dove nell'alto piange la romita
culla dei fonti? (6)

Bianche ai dirupi pendono le capre; (7)
l'aquila passa nera e solitaria;
sibila (8) l'erba inaridita; s'apre,
sotto il pie', l'aria. (9)


1) Piccola pianta dai fiori bianchi o rossi; qui è in un vaso, al davanzale di una finestra.
2) Si diceva che l'infuso di dittamo potesse guarire anche le ferite più gravi. I "Chiomanti capi" è il virgiliano "Caulem comantem" (Eneide XII, 413) per alludere al grappolo di fiori in cima allo stelo, come una folta chioma.
3) La freccia di un cacciatore.
4) Di sangue.  
5) Rimedio per le ferite del mio cuore.
6) La sorgente solitaria da cui l'acqua esce gorgogliando ("piange").
7) Anche questa immagine è virgiliana.
8) Scricchiola.
9) Il vuoto di uno strapiombo.



Edera fiorita






L'ornello variopinto di fiori non si è sentito umiliato ad accogliere l'edera che chiedeva un sostegno; così nell'inverno, quando l'albero è spoglio, l'edera lo ricompensa coprendolo a sua volta di foglie e fiori che sembrano creare un'illusione di primavera. Ettore Toci, cui la poesia è dedicata, fu un grande amico del Pascoli.

Quando di maggio, tu le dolci sere
imbalsamavi (1) co' tuoi fiorni, ornello, (2)
(era un sussurro (3) alle finestre nere
del paesello!) ;

non ti rincrebbe d'un infermo (4) arbusto
che, mosso anch'egli da dolcezza estiva,
con le sue foglie, come cuori (5), al fusto
lento saliva.

Non ti rincrebbe. Ed ora che gelata
la tramontana soffia, e che traspare
già dalle porte chiuse la fiammata
del focolare;

ora che il verno spoglia le foreste
e le tue foglie per le vie disperde;
o vecchio ornello, te ricopre e veste
l'edera verde.

Sui rami nudi i fiori suoi ti pone,
tra verdi e gialli, piccoli, com'era
la tua fiorita morta (6) : illusione
di primavera.


1) Riempivi del profumo dei fiori.
2) Albero simile al frassino.
3) Delle persone che vanno a chiacchierare.
4) Perchè l'edera non si regge da sola, ha bisogno di un sostegno.
5) A forma di cuori.
6) I fiori dell'ornello scomparsi con la cattiva stagione.


Viole d'inverno









Come per il sotterraneo calore di una fonte termale spuntano le viole tra il gelo invernale, così la fantasia del poeta conserva un segreto calore tra i dolori e gli odi della vita.

- D'onde,(1) o vecchina, queste violette
serene come un lontanar di monti
nel puro occaso?(2) Poi che il gelo ha strette (3)
tutte le fonti;

il gelo brucia dalle stelle, (4) o nonna,
ogni foglia, ogni radica, ogni zolla -
- Tiepida, sappi, lungo la Corsonna (5)
geme una polla. (6)

Là noi sciacquiamo il candido bucato
nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
e il poggio è pieno di viole, e il prato
di pratelline (7) -

Ah!... ma, poeta, non ancor (8) nel pio
tuo cuore è l'onda (9) che discioglie il gelo?
non è la polla, calda nell'oblio
freddo del cielo? (10)

Ché sempre, se ti agghiaccia la sventura,
se l'odio altrui ti spoglia e ti desola,
spunta, al tepor dell'anima tua pura,
qualche viola. (11)


1) Di dove porti?
2) Le viole hanno il colore dei monti che al tramonto sfumano lontano nel cielo limpido.
3) Ha gelato.
4) L'avvicendarsi delle stagioni era riferito, in campagna, al muoversi delle costellazioni; per questo il gelo invernale sembra provenire dalle stelle.
5) Un torrentello tra Castelvecchio e Barga.
6) Sgorga una sorgente termale.
7) Margheritine dei campi.
8) Anche.
9) L'impulso vitale della fantasia e dell'ispirazione.
10) Tra l'indifferenza gelida del mondo.
11) La fantasia, l'ispirazione.



Il castagno






La lirica tesse le lodi del castagno che mette tardi le foglie e i fiori, ma poi offre un'ombra soave a ai primi freddi "dona i dolci ai poveri, il cibo ai lavoratori, la legna al focolare, il letto alle bestie". Francesco Pellegrini, cui il poemetto è dedicato, fu un collega del Poeta, insegnante all'Accademia navale di Livorno.

I

Quando sfioriva e rinverdiva il melo, (1)
quando s'apriva il fiore del cotogno,
il greppo, (2) azzurro, somigliava un cielo
visto nel sogno;

brullo (3) io te vidi; e già per ogni ripa
erano colte tutte le viole,
tu lasciavi ai cesti ed alla stipa
tutto il tuo sole; (4)

e, pio castagno, i rami dalla bruma
ancora appena e dal nevischio vivi, (5)
a mano a mano d'una lieve spuma
verde (6) coprivi.

Ma poi, vedendo sotto il fascio greve
le montanine tergersi la fronte,
tu che le sai (7) da quando per la neve
scendono il monte, (8)

ecco, pietoso tu di lor, tessesti
lungo i torrenti, all'orlo dei burroni,
una fredda ombra, che gemé di mesti
cannareccioni.(9)
 


1) Le foglie del melo spuntano in maggio quando già cadono i fiori.
2) Il pendio della collina, coperto di fiori azzurri.
3) Il castagno fiorisce a giugno inoltrato, dopo gli altri alberi.
4) Non avendo ancora le foglie, non poteva trattenere il sole, che così poteva illuminare, ai suoi piedi, i ciuffi d'erba (cesti) e gli arbusti (stipa).
5) Sopravvissuti.
6) Le prime gemme.
7) Le hai conosciute.
8) Lasciano i pascoli montani per trasferirsi nei paesi del fondovalle.
9) Uccelli che vivono di preferenza sulle rive dei fiumi, dal verso forte e malinconico.


II

E qualche cosa già nell'aspro cardo
chiuso ascondevi, (10) come l'avo buono
che nell'irsuta mano cela un tardo (11)
facile dono.

Ai primi freddi, quando il buon villano
rinumerò (12) tutti i suoi bimbi al fuoco;
e con lui lungamente il tramontano
brontolò roco;

e tu quei cardi, in mezzo alle procelle,
spargesti sopra l'erica ingiallita,
e li schiudevi per pietà di quelle
povere dita...

Tutti spargesti i cardi irti e le fronde
fragili, e tutto portò via festante
la grama turba (13). Nudo con le monde (14)
rame, o gigante,

stavi, e vedevi tu la vita e il melo
vestiti d'oro e porpora (15) al riflesso
già delle nevi, e per lo scialbo (16) cielo
nero il cipresso.


10) Nei ricci spinosi nascondeva le castagne.
11) Perchè lo farà desiderare a lungo, anche se il dono è in realtà facile da ottenere.
12) Riunì.
13) La povera gente.
14) I rami spogli.
15) Per le foglie rossastre dell'autunno.
16) Pallido.


III

Per te i tuguri sentono il tumulto (17)
or del paiolo che inquieto oscilla; (18)
per te la fiamma sotto quel singulto (19)
crepita e brilla:

tu, pio castagno, solo tu, l'assai (20)
doni al villano che non ha che il sole;
tu solo il chicco,(21) il buon di più, tu dài
alla sua prole;

ha da te la sua bruna vaccherella
tiepido il letto (22) e non desìa la stoppia;
ha da te l'avo tremulo la bella
fiamma che scoppia.

Scoppia con gioia stridula la scorza
de' rami tuoi, co' frutti tuoi la grata
pentola brontola. Il vento fa forza
nell'impannata.

Nevica su le candide montagne,
nevica ancora. Lieto è l'avo, e breve
augura, e dice: tante più castagne,
quanta più neve. (23)



17) Il brontolio dell'acqua che bolle per cuocere le castagne.
18) Attaccato alla catena sopra il fuoco del camino.
19) Il sussultare del paiolo.
20) Quanto basta.
21) Le castagne sono come un dolce quasi superfluo ("il buon di più") per i bimbi poveri del montanaro.
22) Perchè con le foglie del castagno si fa uno strame soffice.
23) è credenza popolare che quanta più neve cade in inverno, tanto più abbondante sarà l'anno dopo il racconto.



Il pesco






Adolfo Cipriani, cui la lirica è dedicata, era il titolare di una ditta di arredamenti a Livorno: amico del Poeta, lo aveva agevolato nell'acquisto di mobili.

Penso a Livorno, a un vecchio cimitero (1)
di vecchi morti; ove a dormir con essi
niuno più scende (2); sempre chiuso; nero
d'alti cipressi.

Tra i loro tronchi che mai niuno vede,(3)
di là dell'erto muro e delle porte
ch'hanno obliato i cardini, (4) si crede
morta la Morte, (5)

anch'essa. Eppure, in un bel dì d'Aprile,
sopra quel nero (6) vidi, roseo, fresco,
vivo, dal muro sporgere un sottile
ramo di pesco.

Figlio d'ignoto nòcciolo, d'allora
sei tu cresciuto tra gli ignoti morti?
ed ora invidii i mandorli che indora
l'alba negli orti?

od i cipressi, gracile e selvaggio,(7)
dimenticàti, col tuo riso allieti,
tu trovatello in un eremitaggio
d'anacoreti? (8)


1) Ero quello protestante, a Livorno, com'è indicato in un abbozzo in prosa di questa poesia.
2) Perchè era chiuso e abbandonato da più di 50 anni.
3) Perchè era al di là di un muro di cinta.
4) Nessuno lo apre più.
5) Nel cimitero non veniva tumulato più nessuno e chi vi era sepolto poteva credere che la morte non esistesse più.
6) I cipressi.
7) Selvatico.
8) I cipressi severi e solitari.



Canzone di nozze









Guardi la vostra casa sopra un rivo,
sopra le stipe (1), sopra le ginestre;
ed entri l'eco d'un gorgheggio estivo
dalle finestre.

Dolce dormire con nel sogno (2) il canto
dell'usignolo! E sian sotto la gronda
rondini nere. Dolce avere accanto
chi vi risponda,

sul far dell'alba, quando voi direte
pian piano: è vero che non s'è più soli? (3)
Sì, sì, diranno,(4) vero ver... Che liete
grida! che voli!

sul far dell'alba, quando tutto ancora
sembra dormir dietro le imposte unite!
Sembra, e non è. Voi sì, forse, in quell'ora,
madri, dormite.

Sognate biondo (5) : nelle vostre teste
non un fil bianco: bianche, nel giardino,
sono, sì, quelle ch'ora vi tendeste,
fascie di lino.


1) Piccoli arbusti.
2) Mentre si sogna.
3) Attendono un bambino.
4) Vuol riprodurre il verso delle rondini.
5) Un bimbo biondo.



Mio Papà Gabriele



è morto stamattina, verso le 6. Io avevo appena finito di scrivere i miei racconti.
Niente Poesia di Pascoli, per oggi. Mentre stavo aprendo il libro di Pascoli,
è arrivata la telefonata dell'ospedale.
Alle 7 e qualcosa ho visto il suo cadavere.
Lo sapevo che doveva morire, mi ero illusa che trascrivere le Poesie di Pascoli
fosse un modo di allungargli la vita.Sapevo che non avrei finito di leggere "Myricae".

Mio Padre amava la Letteratura.
Questo blog lo avevo aperto perchè in questi giorni, volevo sentirmi "in compagnia" di Pascoli, che aveva vissuto i lutti famigliari e ne aveva tratto delle stupende Poesie.

 Mio Padre aveva 61 anni. Era appassionato di Letteratura, di recente aveva imparato anche il Latino. E  il Cinese e il Giapponese. Ci sono ancora i dizionari sul suo comodino, insieme alle sue poesie preferite, che trascriveva e leggeva.
Sapeva parlare e scrivere il Tedesco, il Russo, l'Arabo, l'Ebraico, lo Spagnolo, il Portoghese. Amava leggere e studiare le lingue, fin da giovane.
Amava cucinare. Amava collezionare i francobolli.

I suoi scrittori preferiti erano Dante, d'Annunzio, Cardarelli, Tasso, Manzoni, e tanti altri, tutti i russi, o i francesi, i classici, insomma.

L'ultima frase che gli ho detto, quando ancora era sveglio, giorni fa,
è stata "Ti voglio bene, Papà."

Non l'ho mai chiamato così. Lo chiamavo "Gabry", come mia madre.
Sono scoppiata a piangere dopo aver detto quella frase.

Lui mi ha risposto "Lo so"
il giorno dopo ha detto a mia madre di dirmi di non piangere per lui.





I gigli





Nel mio villaggio (1), dietro la Madonna
dell'acqua (2), presso a molti pii bisbigli,
sorgono sopra l'esile colonna (3)
verde i miei gigli:

miei, ché a deporne i tuberi in quel canto
del suo giardino fu mia madre mesta.
D'altri è il giardino: di mia madre (è tanto!...(4) )
nulla più resta.

Sonto tanti anni!... Ma quei gigli ogni anno
escono ancora a biancheggiar tra folti
cesti (5) d'ortica; ed ora... ora saranno
forse già còlti.

Forse già sono su l'altar, lì presso,
a chieder l'acqua (6), or ch'è mietuto il grano,
per il granoturco : e nel pregar sommesso
meridiano,

guardando i gigli, alcuna (7) ebbe un fugace
ricordo (8) ; e chiede che Maria mi porti
nella mia casa, per morirvi in pace
presso i miei morti.


1) A San Mauro.
2) Una piccola cappella all'estremità del giardino della casa materna di Pascoli.
3) Lo stelo.
4) Da tanto tempo è morta, e la casa è stata venduta.
5) Cespi.
6) Offerti dai fedeli per chiedere a Dio la pioggia, in un pericolo di siccità.
7) Qualcuna delle donne presenti.
8) Della famiglia Pascoli che un tempo abitava quella casa, e del poeta.