Introduzione a Pascoli e Il Giorno dei Morti


Giovanni Pascoli (1855-1912) è il poeta che ha segnato il passaggio dall'Ottocento al Novecento. Nasce nel 1855, a San Mauro di Romagna, quarto di dieci figli. Quando il padre Ruggero viene ucciso, la disgrazia imprime un segno incancellabile nell'animo del poeta, che ne sarà condizionato per tutta la vita. Spesso nelle sue poesie torna il tema della morte del padre e del "nido" distrutto dalla violenza degli uomini. Anche altri lutti colpiscono la famiglia Pascoli: muore una sorella, la madre e due fratelli.
Giovanni, tra mille difficoltà, si iscrive alla facoltà di lettere dell'Università di Bologna. Segue con interesse le lezioni di Carducci e si avvicina agli interessi del Socialismo.
Nel 1891 pubblica la sua prima raccolta di poesie, "Myricae", a cui seguono i "Poemetti", "Canti di Castelvecchio", "Poemi Conviviali".
"Myricae" è la prima e la più amata raccolta pascoliana. Il titolo deriva da un verso della quarta Ecloga di Virgilio: "iuvant arbusta humilesque myricae", "piacciono gli alberi e le umili tamerici".
Con questo titolo Pascoli vuole alludere al tono volutamente basso della sua poesia che paragona alle tamerici, le umili pianticelle che si elevano poco da terra; ma la tematica della raccolta può intendersi anche come "un diario minuto e liberissimo di una giornata trascorsa in campagna a contatto con gli eventi agresti, le voci dei campi, il trascolare delle ore". Il poeta canta le piccole cose, il mondo semplice della natura, cui si intreccia il tema delle vicende familiari, che il poeta rievoca con tristezza e sgomento. Nei lutti che hanno colpito la famiglia vede il segno di una società feroce e disumana alla quale contrappone la Natura, madre dolcissima e confortatrice. Quello della Natura è sicuramente uno dei temi dominanti della produzione di Giovanni Pascoli, le cui liriche sono popolate di fiori, uccelli, alberi di tutti i tipi, cui spesso il poeta indica con precisione anche il nome specifico. Egli accusa di genericità la poesia italiana, nella quale la campagna è stata sempre descritta in modo convenzionale, per cui gli uccelli sono solo rondini e usignoli, i fiori rose e viole, gli alberi ulivi e cipressi.

Fra tutti gli elementi della natura, Pascoli cita con particolare frequenza uccelli e fiori del campo. Ai primi si collega l'immagine del "nido famigliare" e simboleggiano l'evasione dalla realtà dominata dal male verso una condizione di felicità che sarebbe duratura se l'uomo non intervenisse con violenza a distruggerla, spezzando il volo degli uccelli. Ma agli uccelli Pascoli attribuisce anche una funzione oracolare che riprende tanto dalle magiche credenze del mondo contandino quanto dalla cultura classica. Nelle tradizioni contadine è affidata agli uccelli gran parte delle previsioni sulla vita e sulla morte: il grido degli uccelli notturni viene considerato segno di malaugurio, si contano gli anni di vita sul canto del cuculo e così via. Nel mondo antico esistevano dei sacerdoti, detti àuguri, che avevano il compito di trarre profezie dal volo degli uccelli. Per Pascoli gli uccelli sono intermediari fra l'uomo e il mistero che lo circonda: il loro verso, che il poeta riproduce per mezzo delle onomatopee, è la voce di una realtà segreta e ignota che non può essere penetrata con gli strumenti della ragione.
Anche i fiori hanno una valenza simbolica: in Pascoli sono spesso legati al tema della morte, o, per la forma circolare della corolla, diventano simbolo di una vita chiusa, senza rapporti con il mondo esterno dal quale possono giungere solo violenza e morte.
La Natura, se per un verso appare come una presenza confortatrice di fronte al male della realtà e della storia, per l'altro rimanda immagini angoscianti di morte e di caos. Una tale visione del mondo può essere solo in parte ricondotta ai drammi familiari del poeta; in realtà possiamo cogliere in essa il riflesso del disagio dell'intellettuale decadente che si sente emarginato dalla società.

In "Novembre", per esempio, il poeta più che celebrare la breve rinascita della bella stagione pone l'accento sull'illusività delle apparenze, sulla natura ingannevole che cela dietro immagini illusorie di vita la realtà della morte.

Gèmmea l'aria, (1) il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...(2)

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno, (3)
e vuoto il cielo, (4) e cavo al piè sonante
sembra il terreno. (5)

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. è l'estate,
fredda, dei morti. (6)

(1) Limpida come una gemma
(2) Hai l'impressione di essere in primavera e allora ti guardi intorno a ricercare gli albicocchi in fiore e ti sembra di avvertire il profumo del biancospino
(3) Tracciano un disegno nero sullo sfondo del cielo limpido
(4) Senza voli di uccelli
(5) Il terreno risuona duro e asciutto sotto i piedi, come se fosse vuoto
(6) è l'estate di San Martino, che cade nei primi giorni di novembre poco dopo la ricorrenza dei morti.

In "Lavandare" Pascoli delinea un quadro autunnale: lo spunto del componimento è forse scaturito da una passeggiata in campagna durante la quale il poeta ha sentito un canto di lavandaie al lavoro: un canto triste, che allude alla solitudine. La malinconica condizione della donna abbandonata sembra trovare corrispondenza nello spoglio paesaggio autunnale e soprattutto nell'immagine dell'aratro dimenticato in mezzo al campo:

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.

In "Il lampo" con pochi rapidi tocchi il poeta delinea un paesaggio improvvisamente illuminato dalla luce livida di un lampo.

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.

Il poeta ci offre così una visione stravolta e allucinata della natura, simbolo del caos del mondo che sfugge a ogni intervento ordinatore. Pare che con questi versi egli abbia voluto riferirsi alla morte del padre.
Il verso iniziale, isolato dallo spazio bianco, e introdotto dalla congiunzione "e" che sembra legarlo a qualcosa di non detto o ad una precedente meditazione del poeta, ha la solennità di una sentenza biblica che enuncia una tragica verità. La luce improvvisa del lampo ha una forza rivelatrice: mette a nudo la vera essenza dell'universo. Il mondo appare tragicamente lacerato e deforme. Se all'inizio cielo e terra sono ancora uniti, a partire dal secondo verso li vediamo scissi da una frattura insanabile. Entrambi sono tormentati da una sofferenza disperata. La terra è descritta con espressioni che fanno pensare all'agonia di un essere vivente: "ansante, livida, in sussulto"; il cielo è ridotto a puro caos. I tre aggettivi "ingombro, tragico, disfatto" comunicano l'idea di catastrofe che ha fatto ripiombare il mondo nel caos originario.

Allo sconvolgimento degli elementi naturali si contrappone la casa, simbolo dell'opera dell'uomo, del suo tentativo di imprimere nella natura un segno della sua presenza. Ma essa non è un rifugio sicuro e protettivo, appare fragile e precaria nel tacito tumulto, nel rimescolamento dell'universo che è tanto più terribile perché avviene in un silenzio allucinato, il silenzio del lampo non ancora seguito dal tuono. Il bianco della casa, che si contrappone al nero della notte, è un colore altrettanto lugubre, segno della morte, e allude alla fragilità dell'uomo. I due verbi "apparì sparì" che si succedono senza essere legati da una congiunzione, alludono alla precarietà dell'uomo, la cui permanenza sulla terra è brevissima e può essere stroncata in un attimo.

Nella lirica successiva "Il tuono", composta a sei anni di distanza, il poeta riprende il tema della Natura sconvolta ma contrappone però la figura rassicurante della madre e della culla:

E nella notte nera come il nulla,

a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.


Il 2 Novembre, nel giorno dedicato ai defunti, il Poeta ripensa ai suoi morti e li rivede nel cimitero, fra le intemperie, stretti fra loro a lamentare l'abbandono in cui sono lasciati.
Questo pensiero gli suscita il senso di un'antica felicità perduta e l'idea della casa domestica come "nido" caldo e consolante; il cimitero, anzi, diventa una nuova "casa" dove i morti si congiungono ai vivi per ricostruire l'unità famigliare.

Io vedo (come è questo giorno, oscuro!) ,
vedo nel cuore, vedo un camposanto (1)
con un fosco cipresso alto sul muro.

E quel cipresso fumido (2) si scaglia (3)
allo scirocco: a ora a ora in pianto
sciogliesi l'infinita nuvolaglia.

O casa di mia gente, unica e mesta,(4)
o casa di mio padre, unica e muta,
dove l'inonda e muove la tempesta; (5)

O camposanto che sì crudi inverni
hai per mia madre gracile e sparuta,
oggi ti vedo (6) tutto sempiterni (7)

e crisantemi. A ogni croce roggia (8)
pende come abbacciata una ghirlanda
donde gocciano lagrime di pioggia.

Sibila tra la festa lagrimosa (9)
una folata, e tutto agita e sbanda.
Sazio ogni morto, di memorie, posa.

Non i miei morti. (10) Stretti tutti insieme,
insieme tutta la famiglia morta,
sotto il cipresso fumido che geme,

stretti così come altre sere al foco
(urtava, come un povero, alla porta
il tramontano (11) con brontolìo roco),

piangono. La pupilla umida e pia (12)
ricerca gli altri visi a uno a uno
e forma un'altra lagrima per via.

Piangono, e quando un grido (13) ch'esce stretto
in un sospiro, mormora, Nessuno!...
cupo rompe (14) un singulto lor dal petto.

Levino bianche mani a bianchi volti,
non altri, (15) udendo il pianto disusato,
sollevi il capo attonito ed ascolti.

Posa ogni morto; e nel suo sonno culla
qualche figlio de' figli, ancor non nato.
Nessuno! (16) I morti miei gemono: nulla!

- O miei fratelli! - dice Margherita,
la pia fanciulla che sotterra, al verno,
si risvegliò dal sogno della vita.

- O miei fratelli, che bevete ancora
la luce, (17) a cui mi mancano in eterno
gli occhi, assetati dalla dolce aurora;

O miei fratelli! Nella notte oscura,
quando il silenzio v'opprimeva, e vana (18)
l'ombra formicolava di paura; (19)

io veniva leggiera al vostro letto;
Dormite! Vi dicea soave e piana:
voi dormivate con le braccia al petto.

E ora, io tremo nella bara sola;
il dolce sonno ora perdei per sempre (20)
io, senza un bacio, senza una parola.

E voi, fratelli, o miei minori, nulla!...
Voi che cresceste, mentre qui, per sempre,
io son rimasta timida fanciulla.

Venite, intanto che la pioggia tace,
se vi fui madre e vergine sorella (21) :
ditemi: Margherita, dormi in pace.

Ch'io l'oda il suono della vostra voce
ora che più romba la procella:
io dormirò con le mie braccia in croce.

Nessuno! - Dice; e si rinnova il pianto,
e scroscia l'acqua: un impeto di vento
squassa il cipresso e corre (22) il camposanto.

- O figli - geme il padre in mezzo al nero
fischiar dell'acqua - O figli che non sento
più da tanti anni! Un altro cimitero

forse v'accolse e forse voi chiamate
la vostra mamma, nudi abbrividendo
sotto le nere sibilanti acquate.

E voi le braccia dall'asil lontano
a me tendete, siccome io le tendo,
figli, a voi, disperatamente invano.

O figli, figli! Vi vedessi io mai!
Io vorrei dirvi che in quel sol istante (23)
per un'intera eternità v'amai.

In quel minuto avanti che morissi,
portai la mano al capo sanguinante,
e tutti, o figli miei, vi benedissi.

Io gettai un grido in quel minuto, e poi
mi pianse il cuore: come pianse e pianse!
e quel grido e quel pianto era per voi.

Oh! Le parole mute ed infinite
che dissi! Con qual mai strappo si franse
la vita viva delle nostre vite.

Serba la madre ai poveri miei figli:
non manchi loro il pane mai, né il tetto,
né chi li aiuti, né chi li consigli.

Un padre, O Dio, che muore ucciso, ascolta:
aggiungi alla lor vita, o benedetto,
quella che un uomo, non so chi, m'ha tolta.

Perdona all'uomo, che non so; perdona:
se non ha figli, egli non sa, (24) buon Dio...
e se ha figlioli, in nome lor perdona.

Che sia felice; fagli le vie piane;
dàgli oro e nome (25) ; dàgli anche l'oblio; (26)
tutto: ma i figli miei mangino il pane.

Così dissi in quel lampo senza fine; (27)
vi chiamai, muto, esangue, a uno a uno,
dalla più grandicella alle piccine.

Spariva (28) a gli occhi il mondo fatto vano.
In tutto il mondo più non era alcuno.
Udii voi soli singhiozzar lontano.

Dice; e più triste si rinnova il pianto;
più stridula, più gelida, più scura
scroscia la pioggia dentro il camposanto.

- No, babbo, vive, vivono - (29) Chi parla?
Voce velata dalla sepoltura,
voce nuova, (30) eppur nota ad ascoltarla,

O mio Luigi, o anima compagna!
Come ti vedo abbrividire al vento
che ti percuote, all'acqua che ti bagna!

Come mutato! Sembra che tu sia
un bimbo ignudo, pieno di sgomento,
che chieda, a notte, al canto della via. (31)

- Vivono, vive. Non udite in questa
notte una voce querula, argentina,
portata sino a noi dalla tempesta?

è la sorella (32) che morì lontano,
che in questa notte, povera bambina,
chiama chiama dal poggio (33) di Sogliano.

Chiama. Oh! Poterle carezzare i biondi
riccioli qui, tra noi: fuori del nero
chiostro, de' sotterranei profondi! (34)

Un'altra voce tu, fratello, (35) ascolta:
dolce, triste, lontana; il tuo Ruggiero; (36)
in cui, babbo, moristi un'altra volta. (37)

Parlano i morti. Non è spento il cuore
né chiusi gli occhi a chi morì cercando,
a chi non pianse tutto il suo dolore. (38)

E or per quanto stridula di vento (39)
ombra ne dividesse, a quando a quando
udrei, come da vivo, il tuo lamento,

O mio Giovanni, che vegliai, che ressi,
che curai, che difesi, umile e buono,
e morii senza che ti rivedessi! (40)

Avessi tu provato di quell'ora
ultima il freddo, e or quest'abbandono,
gemendo a noi ti volgeresti ancora. -

- Ma se vivete, perchè, morti cuori,
solo è la nostra tomba illacrimata,
solo la nostra croce è senza fiori? -

Così singhiozza Giacomo: poi geme:
- Quando sola restò la nidiata,
Iddio lo sa, come vi crebbi (41) insieme:

se con pia legge l'umili vivande
tra voi divisi, e destinai de' pani
il più piccolo a me ch'ero il più grande;

se ribevvi (42) le lagrime ribelli
per non far voi pensosi del domani,
se il pianto piansi in me di sei fratelli;

se al sibilar di questi truci venti,
al rombar di quest'acque, io suscitava
la buona fiamma d'eriche e sarmenti;

e io, quando vedea rosso (43) ogni viso,
e più rossi i più piccoli, tremava
sì, del mio freddo che desìa, nel fango;

per questi santi, o fratel mio, che vivi;
di cui morendo, io ti dicea... ma era
grossa la lingua (44) e forse non udivi.


Io vedo, vedo, vedo un camposanto,
oscura cosa nella notte oscura:
odo quel pianto della tomba, pianto

d'occhi lasciati dalla morte attenti, (45)
pianto di cuori cui la sepoltura
lasciò, ma solo di dolor, viventi.

L'odo (46) : ora scorre libero: nessuno
può risvegliarsi, tanto è notte, il vento
è così forte, il cielo è così bruno.

Nessuno udrà. La povera famiglia
può piangere. Nessuno, al suo lamento,
può dire: altro è mio figlio! Altra è mia figlia!

Aspettano. Oh! Che notte di tempesta
piena d'un tremulo ululo ferino!
Non s'ode per le vie suono di pesta. (47)

Uomini e fiere, in casolari e tane,
tacciono. Tutto è chiuso. Un contadino
socchiude l'uscio del tugurio al cane.

Piangono. Io vedo, vedo, vedo. Stanno
in cerchio, avvolti dall'assidua romba. (48)
Aspetteranno, ancora, aspetteranno.

I figli morti stanno avvinti al padre
invedicato. Siede in una tomba
(io vedo, io vedo) in mezzo a lor, mia madre.

Solleva ai morti, consolando, gli occhi,
e poi furtiva esplora l'ombra. Culla
due bimbi morti (49) sopra i suoi ginocchi.

Li culla e piange con quelli occhi suoi,
piange per gli altri morti, e per sé nulla,
e piange, o dolce madre! anche per noi;

e dice: - Forse non verranno. Ebbene,
pietà! le tue due figlie, o sconsolato,
dicono, ora, in ginocchio, un po' di bene. (50)

Forse un corredo cuciono, che preme:
per altri: tutto il giorno hanno agucchiato,
hanno agucchiato sospirando insieme. (51)

E solo a notte i poveri occhi smorti
hanno levato, a un gemer di campane;
hanno pensato, invidiando, (52) ai morti.

Ora, in ginocchio, pregano Maria
al suon delle campane, alte, lontane,
per chi qui giunse, (53) e per chi resta in via

là; per chi vaga in mezzo alla tempesta, (54)
per chi cammina, cammina, cammina,
e non ha pietra ove posar la testa. (55)

Pietà pei figli che tu benedivi!
In questa notte che non mai declina,
orate requie, O figli morti, ai vivi!
O Madre! Il cielo si riversa in pianto
oscuramente sopra il camposanto.


Note:

1) Il camposanto è quello tra San Mauro e Savignano, dove furono sepolti i congiunti del Pascoli: la sorella Ida, morta nel 1862, il padre ucciso nel 1867, la sorella Margherita e la madre (1868), i due fratelli Luigi (1871) e Giacomo (1876). Un'altra sorella di 5 anni, Carolina, era morta ne 1863 a Sogliano sul Rubicone e fu sepolta in quel cimitero.

2) Fumido = tra la nebbia.

3) Si scaglia = è scosso con violenza, opponendosi al vento.

4) Il cimitero è "casa unica di mia gente e mia" perchè "tutta una famiglia è lì accolta, ineffabilmente triste e io vivo con loro".

5) Nel cimitero i morti sembrano abbandonati a tutte le intemperie.

6) è il Giorno dei Morti, e il cimitero è colmo di fiori.

7) I sempiterni sono dei fiori "semprevivi", che mantengono il loro colore anche quando sono secchi.

8) Roggia = rossa di ruggine.

9) Il cimitero fiorito sembra una festa, per la presenza dei fiori, ma quei fiori testimoniano un ricordo doloroso. Inoltre, stillano gocce di pioggia che sembrano lacrime.

10) Nel Giorno dei Morti, i morti del Pascoli sono abbandonati.

11) Il Tramontano = il vento di tramontana.

12) "Pupilla" sta per "Gli occhi di ciascuno dei famigliari morti".

13) Un grido di disperazione, perchè nessuno li ricorda.

14) Rompe = erompe.

15) "Se mai qualcuno dei viventi, ascoltando quel pianto, li ricordi".

16) Sono stati completamente dimenticati.

17) Che siete ancora in vita e potete vedere la luce del sole.
A cui = per vedere la quale.

18) Vana = vuota, ingannevole.

19) Il buio della notte suscitava una folla di immagini indeterminate e paurose.

20) Il sonno fa parte della vita e quindi è negato ai morti.

21) Dopo la morte del marito, la madre del Poeta era caduta in un grave stato di prostrazione e Margherita ne aveva fatto le veci presso i fratelli.
"Vergine sorella" è reminiscenza dantesca.

22) Corre = Percorre.

23) L'istante della morte.
24) L'assassino del padre di Pascoli ignora lo strazio di morire lasciando la famiglia nel dolore e nella miseria.

25) Nome = Fama.

26) Del rimorso.

27) L'istante prima che morisse in cui amò i figli "per un'intera eternità".

28) Spegnendosi la vita, tutto spariva ai suoi occhi.

29) Non tutti i figli sono morti, ma il "vive" può sottindere anche un'implicita accusa all'assassino, vivo e non perseguitato.

30) "Nuova" = "Mutata".

31) Implori l'elemosina all'angolo della via.
32) Carolina.

33) Il cimitero era situato sul pendio di una collina.

34) L'oscurità della tomba.

35) Luigi si rivolge a Giacomo.

36) Il nipote del Poeta, figlio del fratello Giacomo, morto a 12 anni, nel 1887.

37) Al bimbo era stato posto il nome del nonno e la sua morte fu sentita dal Poeta come una seconda morte del padre.

38) "Non hanno essi della morte le requie, non si spense d'essi con la vita il dolore" perchè cercano giustizia, in quanto, "Ti uccise tutti, nel mio padre, la malvagità degli uomini".

39) Anche se ci divide l'ombra della morte potrei udire la tua voce.

40) Quando la malattia di Luigi fu irrimediabile, "Giacomo dovette allontanare di casa Giovannino, altrimenti non era possibile staccarlo dal capezzale".
41) Dopo la morte del padre, la responsabilità della famiglia restò al fratello Giacomo.

42) Respinsi.

43) Arrossato dal vento sferzante.

44) Prima di entrare in agonia, Giacomo voleva parlare a Giovanni, ma non riusciva.

45) Consapevoli delle vicende umane.

46) Il pianto.

47) Suono di passi.

48) L'incessante tumulto della tempesta.
49) Carolina e Ida.

50) Pregano per i defunti.

51) Ida e Maria contribuirono al bilancio famigliare con lavori di ricamo e cucito.

52) Invidiano la pace della morte.

53) In camposanto.

54) I dolori della vita.

55) Non ha luogo dove riposare.


Alba festiva


Il significato del titolo:

Il titolo della Raccolta (che è il nome latino delle tamerici, piccoli arbusti comuni sulle spiagge) è ripreso da un verso di Virgilio (Egloga IV, 2: "Arbusta iuvant, humilesque myricae") posto come epigrafe all'inizio della Raccolta. Il Poeta utilizza il termine "Myricae" per evidenziare un lato umile della sua vena poetica, ispirata alle "piccole cose" e non ai grandi temi pomposi e vanesi
("Le myricae sono basse, le più terra terra, povere pianticelle. Ma Virgilio le amava e ne faceva l'immagine dei suoi primi canti").

*****

"Alba festiva"

Che hanno le campane,
che squillano vicine,
che ronzano lontane?

è un inno senza fine,
or d'oro, ora d'argento,
nell'ombra mattutine.

Con un dondolìo lento
implori, o voce d'oro,
nel cielo sonnolento.

Tra il cantico sonoro
il tuo tintinno squilla,
voce argentina -Adoro,

adoro -Dilla, dilla,
la nota d'ora - l'onda
pende dal ciel, tranquilla.

Ma voce più profonda
sotto l'amor rimbomba,
par che al desìo risponda:

la voce della tomba.


Speranze e memorie


Paranzelle (1) in alto mare
bianche, bianche,
io vedea palpitare (2)
come stanche:
o speranze, ale di sogni
per il mare!

Volgo gli occhi, e credo in cielo
rivedere
paranzelle sotto un velo,
nere nere:
o memorie, ombre di sogni
per il cielo!


1) Le paranzelle sono piccole barche a vela.
2) Apparire, scomparire.

Scalpitio


Si sente un galoppo lontano
(è la...?), (1)
che viene, che corre nel piano
con tremula rapidità.

Un piano deserto, infinito;
tutto ampio, tutt'arido, eguale:
qualche ombra d'uccello smarrito,
che scivola simile a strale:

non altro. Essi fuggono via
da qualche remoto sfacelo; (2)
ma quale, ma dove egli sia,
non sa né terra né il cielo.

Si sente un galoppo lontano
più forte,
che viene, che corre nel piano:
la Morte! la Morte! la Morte!


1) è sottointesa la Morte.
2) Remoto sfacelo = la distruzione misteriosa della morte.

Il morticino


Non è Pasqua d'ovo?

Per oggi contai (1)
di darteli, i piedi. (2)
è Pasqua: non sai?
è Pasqua: non vedi
il cercine  (3) novo?

Andiamoci, a mimmi,(4)
lontano lontano...
Din don...Oh! Ma dimmi:
non vedi c'ho in mano
il cercine novo,

le scarpe d'avvio?
Sei morto; non vedi,
mio piccolo cieco!
Ma mettile ai piedi,
ma portale teco
ma diglielo a Dio,
che mamma ha filato
sei notti e sei dì,
sudato, vegliato,
per farti, oh! così!
le scarpe d'avvio!


1) Contai = mi ero proposta.
2) Il cercine è una sorta di berretto infantile.
3) è un espressione toscana/romagnola, per indicare il momento in cui si mettevano ai bimbi le scarpette. Si aspettava il giorno di Pasqua, se era possibile, quando le campane suonavano.
4) A mimmi = a passeggio.


Il rosicchiolo


(il rosicchiolo è un tozzo di pane secco)

Per te l'ho serbato, soltanto
per te, povero angiolo; ed eccolo
o pianto!
lo vedi? un rosicchiolo secco.

Moriva (1) sul letto di strame;
tu, bimbo, dormivi sicuro.
Che pianto! che fame!
ma c'era un rosicchiolo duro.

Ma ella guardava lunghe ore,
guardava il suo bimbo, e morì,
di pianto, di fame, d'amore;
e...guarda! il rosicchiolo è qui.


1) La madre.

Allora


Allora... in un tempo assai lunge
felice fui molto: non ora:
ma quanta dolcezza mi giunge
da tanta dolcezza d'allora!

Quell'anno! per anni che poi
fuggirono, che fuggiranno,
non puoi, mio pensiero, non puoi,
portare con te, che quell'anno!

Un giorno fu quello, ch'è senza
compagno,(1) ch'è senza ritorno;
la vita fu vana parvenza (2)
sì prima sì dopo quel giorno!

Un punto!...così passeggero,
che in vero passò non raggiunto,
ma bello così, che molto ero
felice, felice, quel punto!


1) Non ha uguali per tanta gioia.
2) Fu una vana illusione.



Patria





Sogno d'un dì d'estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale! (1)
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.

Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose: (2)
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, ròse: (3)

due bianche spennellate

in tutto il ciel turchino.
Siepi di melorano,
fratte di tamerice,(4)
il palpito lontano (5)
d'una trebbiatrice,
l'angelus argentino...(6)

dov'ero? (7) Le campane
m dissero dov'ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.


1) Il verso acuto delle cicale, in rapida e oscillante ripetizione.
2) Nei raggi del sole si muoveva il pulviscolo dell'aria.
3) Corrose.
4) Le fratte sono i cespugli. Il tamerice è il tamarisco, un arbusto sempreverde. Sono le virgiliane Myricae.
5) Il suono ritmico.
6) Le campane che invitano alla preghiera, l'Angelus.
7) Il paese natale, San Mauro.





Il nunzio





Il ronzio di un bombo suscita nel Poeta pensieri di solitudine e di morte, e l'insetto diventa messaggero di misteriose verità che l'uomo non può pensare.

Nota di Lunaria: anche in Dino Buzzati, nel racconto "Lo scarafaggio" (a mio parere, uno dei racconti più belli di Buzzati), l'insetto diventa "il tramite" tra la Morte e il mondo degli uomini.


Un murmure, un rombo...

Son solo: ho la testa
confusa di tetri
pensieri. Mi desta

quel murmure ai vetri.
Che brontoli, o bombo? (1)

che nuove mi porti?

E cadono l'ore (2)
giù giù, con un lento
gocciare. Nel cuore
lontane risento
parole di morti...

Che brontoli, o bombo?

che avviene nel mondo?
Silenzio infinito.
Ma insiste profondo,
solingo smarrito,
quel lugubre rombo.


1) Il bombo è un insetto, giallo e nero; volando produce un forte ronzio.
2) Dal campanile vengono i rintocchi dell'orologio, lenti e sonori, come gocce che cadono pesanti.





La cucitrice





L'alba per la valle nera (1)
sparpagliò (2) le greggi bianche:
tornano ora nella sera
e s'arrampicano stanche:
una stella le conduce.

Torna via dalla maestra (3)
la covata, (4) e passa lenta:
c'è del biondo (5) alla finestra
tra un basilico e una menta:
è Maria (6) che cuce e cuce.

Per chi cui e per che cosa?
un lenzuolo? un bianco velo?
Tutto il cielo è color rosa,
rosa e ora, e tutto il cielo
sulla testa le riluce.

Alza gli occhi dal lavoro:
una lagrima? un sorriso?
Sotto il cielo rosa e oro,
chini gli occhi, chini il viso,
ella cuce, cuce, cuce.

1) Ancora immersa nella notte.
2) Nei pascoli.
3) Dalla strada maestra.
4) Il gruppo di bambini che torna da scuola, come pulcini attorno alla chiocchia.
5) La testa bionda della ragazza cucitrice.
6) è la sorella del Poeta.



Sera festiva





è il discorso di un bimbo colpito perchè la mamma non partecipa alla gioi di una vigilia festosa. Ma il giorno di festa è anche l'anniversario della morte del fratellino e la mamma è chiusa in quel ricordo che a poco a poco va delineandosi anche nel bambino. Alla fine di ogni strofa le onomatopee "din don dan" vogliono riprodurre lo scampanio di festa, ma finiscono per trapassare nei rintocchi di un lontano funerale.

O mamma, o mammina, hai stirato
la nuova camicia di lino?
Non c'era laggiù tra il bucato,(1)
sul bossolo (2) o sul biancospino.
Su gli occhi tu tieni le mani...
Perchè? Non lo sai che domani...?
din don dan, din don dan.

Si parlano i bianchi villaggi (3)
cantando in un lume di rosa (4):
dall'ombra de' monti selvaggi
si sente una romba (5) festosa.

Tu tieni a gli orecchi le mani...(6)
tu piangi; ed è festa domani...
din don dan, din don dan.

Tu pensi... Oh! ricordo: la pieve...(7)
quanti anni ora sono? una sera...
il bimbo era al freddo, di neve;
il bimbo era bianco, di cera:
allora sonò la campana
(perchè non pareva lontana?)(8)
din don dan, din don dan.

Sonavano a festa,(9) come ora,
per l'angiolo: il nuovo angioletto
nel cielo volava a quell'ora;
ma tu lo volevi al tuo petto,
con noi, nella piccola zana (10):
gridavi(11); e lassù la campana
din don dan, din don dan.(12)


1) Un tempo i panni lavati si stendevano sulle siepi per farli asciugari al sole.
2) Il bossolo è un arbusto sempreverde.
3) Le campane dei villaggi, suonando, sembrano intrecciare tra loro un colloquio.
4) La luce dell'ultimo sole, mentre l'ombra della sera già copre il fondovalle.
5) Il suono delle campane.
6) Perchè la madre non vuole sentire quel suono festoso che contrasta col suo dolore.
7) La chiesa parocchiale, dove è stato celebrato il funerale.
8) "Perchè quella campana da morto non suonava in un altro paese, e non nel nostro?" avrebbe infatti indicato che la morte avrebbe colpito qualcun'altro e non il fratellino.
9) Perchè un bimbo innocente saliva al cielo.
10) è la culla.
11) Per la disperazione.
12) Ecco che il risuonare della campane a festa, presente nelle prime strofe, nell'ultima diventa il rintocco delle campane a morto.



Romagna




Sempre un villaggio, (1) sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l'azzurra vision di San Marino:

sempre mi torna al cuore il mio paese
cui (2) regnarono Guidi e Malatesta, (3)
cui tenne (4) pure il Passator cortese, (5)
re della strada, re della foresta.

Là nelle stoppie dove singhiozzando (6)
va la tacchina con l'altrui covata (7),
presso gli stagni lustreggianti (8), quando
lenta vi guazza l'anatra iridata,

oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarci l'urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio (9) dell'aie;

mentre il villano (10) pone dalle spalle
gobbe (11) la ronca (12) e afferra la scodella, (13)
e'l bue rumina nelle opache (14) stalle
la sua laboriosa lupinella.(15)

da' borghi sparsi le campane in tanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo (16), alla quiete, al santo
desco fiorito d'occhi di bambini. (17)

Già m'accoglieva in quelle ore bruciate
sotto l'ombrello di trine (18) una mimosa,
che fioria la mia casa ai dì d'estate
co' suoi pennacchi di color di rosa;

e s'abbracciava per lo sgretolato
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un biricchino.

Era il mio nido: dove, immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; (19) o mi vedea presente
l'imperator nell'eremitaggio. (20)

E mentre aereo mi poneva in via
con l'ippogrifo (21) pel sognato alone, (22)
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;

udia tra i fieni allor allor falciati
de' grilli il verso che perpetuo trema, (23)
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema. (24)

E lunghi, e interminati, erano quelli (25)
ch'io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettìo d'uccelli,
risa di donne, strepito di mare.

Ma da quel nido, rondini tardive, (26)
tutti tutti migrammo un giorno nero; (27)
io, la mia patria or è dove si vive (28):
gli altri son poco lungi; in cimitero. (29)

Così più non verrò per la calura
tra què tuoi polverosi biancospini,
ch'io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozioso i piccolini, (30)

Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator Cortese,
re della strada, re della foresta.


1) San Mauro di Romagna, dove il Poeta era nato.
2) Su cui.
3) I conti Guidi furono potenti feudatari della Toscana, con possedimenti anche in Romagna; i Malatesta furono signori di Rimini e Cesena.
4) Che dominò.
5) Stefano Pelloni, il famoso bandito romagnolo, detto "Il Passatore" dal mestiere di traghettatore del padre, chiamato "Cortese", perchè fece qualche azione in favore dei diseredati.
6) Il verso del tacchino sembra un singhiozzo.
7) La tacchina fa spesso da chioccia ai pulcini delle galline.
8) Che luccicavano sotto il sole.
9) A mezzogiorno i contadini si riposano.
10) Il contadino.
11) Incurvate dal lavoro.
12) Roncola.
13) è il momento del pranzo.
14) Ombrose.
15) "Laboriosa" perchè la lupinella è un foraggio che per essere
digerito richiede una faticosa masticazione.
16) Frescura ombrosa.
17) La mensa è circondata dai bambini che la rallegrano coi loro occhi vivaci.
18) L'intreccio delle foglie della mimosa, simili a un pizzo.
19) Seguiva con la fantasia le avventure di Guidone Selvaggio e di Astolfo, paladini di Carlo Magno e personaggi di poemi cavallereschi.
20) Immagina di trovarsi nella villa chiamata l'Hermitage, a Sant'Elena, mentre Napoleone detta le sue memorie.
21) L'ippogrifo è il cavallo alato con il quale Astolfo giunse sulla Luna ("Orlando Furioso").
22) "Il sognato alone" è il cerchio sfumato di luce che circonda la Luna.
23) Risuona tremulo.
24) Il gracidare delle rane, come un canto senza fine.
25) Riferito alle Poesie che Pascoli meditava di comporre.
26) Nel novembre del 1871, la famiglia Pascoli lasciò San Mauro per trasferirsi a Rimini, come le rondini che sorprese dall'inverno devono lasciare in fretta il loro nido.
27) L'angoscia di lasciare il tetto paterno.
28) Ora il Poeta deve stare dove può per procacciarsi da vivere.
29) I genitori e i fratelli morti. "Lungi" perchè sepolti nel vicino cimitero, ma anche perchè dalla vita alla morte il passo è breve.
30) Il cuculo depone le uova nel nido degli altri uccelli; così, nella casa paterna del Poeta ora vivono altre persone.



Anniversario






Il ricordo della madre fu sempre accorato e presente nel Pascoli che per 5 anni consecutivi, nel giorno del suo compleanno (il 31 dicembre) lo concretizzò in una serie di sonetti.

Sono più di trent'anni e di queste ore,
mamma, tu con dolor m'hai partorito;
ed il mio nuovo piccolo vagito
t'addolorava più del tuo cuore.

Poi tra il dolore sempre ed il timore,
o dolce madre, m'hai di te nutrito:
e quando fui del corpo tuo vestito,(1)
quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore;

allor sei morta; e son vent'anni: un giorno!(2)
e già gli occhi materni io penso a vuoto;(3)
e il caro viso già mi si scolora,(4)

mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno
freddo de' morti, nel tuo sogno immoto,(5)
tu m'accarezzi i riccioli d'allora.



1) "Ebbi la vita dal tuo corpo"
2) Quei vent'anni sono passati veloci come un giorno.
3) Non li ricordo più esattamente.
4) Impallidisce, sbiadisce, nella memoria.
5) Nel ricordo dei figli.



Rio Salto




Fin da ragazzo Pascoli fu attratto dai poemi cavallereschi, in questo sonetto ricorda quando fantasticava sulle avventure dei cavalieri medievali. Il Rio Salto è un torrente che costeggia Sam Mauro.

Lo so: non era nella valle fonda
suon che s'udia di palafreni andanti: (1)
era l'acqua che giù dalle stillanti
tegole a furia percotea la gronda.

Pur via e via per l'infinita (2) sponda
passar vedevo i cavalieri erranti;
scorgevo le corazze luccicanti,
scorgevo l'ombra galoppar sull'onda. (3)

Cessato il vento poi, non di galoppi
il suono udivo, né vedea tremando
fughe remote al dubitoso lume; (4)

ma voi soli vedevo, amici pioppi!
Brusivano soave tentennando
lungo la sponda del mio dolce fiume.

1) Il suono che si udiva nelle valli non era quello dei cavalli al galoppo. I palafreni sono i cavalli dei cavalieri medievali.
2) Nell'immaginazione infantile il paesaggio diventa sterminato.
3) L'acqua del torrente riflette l'immagine dei cavalieri al galoppo.
4) In un'incerta penombra.





Il maniero





Te sovente, o tra boschi arduo (1) maniero,
popolai di baroni e di vassalli,
mentre i falchetti udia squittir su' gialli (2)
merli e radendo il baluardo (3) nero.

Pei vetri un lume trascorrea leggiero,
e nitrivano fervidi (4) i cavalli:
a uno squillo (5) che uscia giù dalle valli,
apria le imposte il maggiordomo austero;

e nel fosso stridea la fragorosa
saracinesca (6). Or tu, canto divino,(7)
sceso con l'ombre nel mio cuor cadenti,(8)
dove sei? Di tramonti, ora, pensosa,
là sur un torvo giogo d'Apennino
qualch'elce nera (9) lo ripete ai venti.(10)


1) Su un alto poggio.
2) è il colore della roccia corrosa.
3) I bastioni o un alto terrapieno.
4) "Fervidi" sta per "Focosi".
5) Per indicare l'arrivo del feudatario.
6) Quella del ponte levatoio.
7) I sogni giovanili del poeta rivolti al mondo cavalleresco.
8) Tramontato con l'ombra della sera e, simbolicamente, al tramonto della giovinezza.
9) Leccio.
10) Lo stormire delle fronde è una muta continuazione dei sogni giovanili che ora si sono incupiti.



Il bosco




O vecchio bosco pieno d'albatrelli, (1)
che sai di funghi e spiri la malìa, (2)
cui tutto (3) io già scampanellare (4) udìa
di cicale invisibili e d'uccelli:

in te vivon i fauni ridarelli (5)
ch'hanno le sussurranti aure in balìa;(6)
viva la ninfa, e i passi lenti (7) spia,
bionda tra le interrotte ombre i capelli.(8)

Di ninfe albeggia (9) in mezzo alla ramaglia
or sì or no, che se il desìo le vinca,(10)
l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia.

Dilenguano; e pur viva (11) è la boscaglia,
viva sempre ne' fior della pervinca
e nelle grandi ciocche dell'acacia.



1) Il corbezzolo, pianta sempreverde.
2) Hai un incanto che affascina.
3) In tutta la sua estensione.
4) Usato per indicare il suono delle cicale.
5) I fauni sono antiche divinità dei boschi, dall'aspetto ridanciano ("ridarelli").
6) Sono così veloci nella corsa da vincere i venti.
7) I passi dei fauni.
8) Con i capelli biondi, tra le ombre a chiazze.
9) è il biancore delle ninfe.
10) è più chiaro o meno, a seconda che le ninfe si mostrino o nascondano, se il desiderio ("desìo") di mostrarsi al sole le vincerà la loro ritrosia.
11) Piena di vita.



Il fonte





Mentre con lieve strepito perenne
geme tra il caprifoglio (1) una fontana,
trema un trotto tranquillo, e s'allontana
per le fatate rilucenti Ardenne (2).

Qui pontò i piedi e s'alzò sulle penne
quell'Ippogrifo, (3) qui stallò (4) l'Alfana (5):
Brigliadoro (6) dall'India Sericana (7)
in questo trebbio (8) il lungo error sostenne (9):

ché qui l'abbeverava il paladino,(10)
e meditava al mormorìo del fonte
senza piegar la ferrea (11) persona:

poi seguì la sua corsa e il suo destino (12);
così che intorno per la valle e il monte
ancor la notte il trotto ne rintrona.


1) Il caprifoglio è una pianta rampicante. è spesso ricordata nelle leggende cavalleresche.
2) Alture della Francia settentrionale. "Fatate" perchè in esse erano situate le due magiche fontane dell'amore e dell'odio.
3) Il cavallo alato del mago Atlante.
4) Riposò.
5) Alfana è una cavalla araba montata da Gradasso e da Angelica nell'"Orlando innamorato" e nel "Furioso".
6) è il cavallo di Orlando.
7) India della seta, forse si intende la Cina.
8) Forma antica per "trivio".
9) Si fermò dopo un lungo errare.
10) Orlando.
11) "Ferrea" perchè ricoperta dall'armatura.
12) Quello della pazzia di cui sarà vittima.



Anniversario




Sappi (1) - e forse lo sai, nel camposanto-
la bimba (2) dalle lunghe anella d'oro,
e l'altra (3) che fu l'ultimo tuo pianto (4),
sappi ch'io le raccolsi e che le adoro.

Per lor ripresi il mio coraggio affranto,
e mi detersi l'anima per loro (6):
hanno un tetto, hanno un nido, ora, mio vanto (7);
l'amor mio le nutre e il mio lavoro.

Non son felici, sappi, ma serene:
il lor sorriso ha una tristezza pia:
io le guardo - o mia sola erma (8) famiglia! -

e sempre a gli occhi sento che mi viene
quella che ti bagnò nell'agonia
non terminata lagrima di ciglia. (9)



1) Si rivolge alla madre.
2) La sorella Ida.
3) Maria.
4) "Pianto" perchè partorire è dolore e lacrime.
6) Nello sforzo di essere degno della loro innocenza.
7) Perchè creato col suo lavoro.
8) Solitaria.
9) Il pianto della madre del poeta, si prolunga nel cuore del poeta.



I puffini dell'adriatico





I puffini sono degli uccelli marini.

Tra cielo e mare (un rigo di carmino (1)
recide intorno l'acque marezzate) (2)
parlano. (3) è un'alba cerula d'estate:
non una randa (4) in tutto quel turchino.

Pur voci reca il soffio del garbino(5)
con oziose e tremule risate. (6)
Sono i puffini: su le mute ondate
pende quel chiacchiericcio mattutino.

Sembra un vociare, per la calma (7), fioco,
di marinai, ch'ad ora ad ora (8) giunga
tra'l fievole sciacquìo della risacca;
quando, stagliate dentro l'oro e il fuoco, (9)
le paranzelle (10) in una riga lunga
dondolano sul mar liscio di lacca (11).


1) Di colore rosso vivo. è il sole che sorge.
2) Separa l'orizzonte il mare dal cielo. "Marezzate" perchè chiazzate di macchie di luce ai primi raggi del sole.
3) Si sentono voci in lontananza senza vedere nessuno.
4) Vela trapezoidale, barca.
5) Vento di libeccio.
6) Con suoni come di chi ride e parli oziando.
7) Sul mare calmo.
8) A intervalli.
9) Quasi in rilievo sullo sfondo acceso dell'aurora.
10) Barche da pesca.
11) Come lacca.



Cavallino





Il Poeta ripensa alla sua giovinezza nel collegio di Urbino: c'era un poggio fiorito su cui giocava con i compagni, ma il ricordo è incerto e quell'immagine torna confusa alla memoria. Tuttavia quei luoghi lontani restano ancora un rifugio consolante di fronte alla realtà della vita.


O bel clivo fiorito (1) Cavallino
ch'io varcai co' leggiadri eguali (2) a schiera
al mio bel tempo (3); chi sa dir se l'era
d'olmo la tua parlante ombra (4) o di pino?

Era busso ricciuto o biancospino
da cui dorata trasparia la sera (6)?
C'è un campanile tra una selva nera,
che canta,(7) bianco, l'inno mattutino?

Non so: ché quando a te (8) s'appressa il vano (9)
desìo, per entro il cielo fuggitivo (10)
te vedo incerta vision fluire.(11)

So ch'or sembri (12) il paese allor lontano
lontano, che dal tuo fiorito clivo
io rimirai nel limpido avvenire.


1) Una collina vicino a Urbino.
2) I coetanei del collegio.
3) Nella mia giovinezza.
4) "Parlante" per il fruscio delle fronde.
5) "Ricciuto" per le foglie leggermente ripiegate.
6) Gli ultimi raggi del sole.
7) Annuncia con le campane le preghiere del mattutino.
8) Al poggio Cavallino.
9) "Vano" perchè il tempo della giovinezza non può più tornare.
10) Che sfuma indistinto nel ricordo.
11) Svanire.
12) Ti confondi col paese che sognavo come luogo ideale di vita, che a Urbino sembrava lontano nel futuro. Come da ragazzo il Poeta aveva sognato un futuro felice, così ora, insoddisfatto della vita, si rivolge al passato col medesimo desiderio di felicità.



Le monache di Sogliano





Le suore agostiniane di Sogliano sul Rubicone tenevano nel loro convento una specie di collegio, dove passarono molti anni anche le sorelle del Poeta, Ida e Maria.
Fu scritta a Sogliano col titolo "Ora pro nobis".


Dal profondo (1) geme l'organo
tra'l fumar de' cerei (2) lento:
c'è un brusio cupo di femmine
nella chiesa del convento:

un vegliardo austero mormora
dall'altar suoi brevi appelli:
dietro questi s'acciabbatano (3)
delle donne i ritornelli.

Ma di mezzo a un lungo gemito (4)
da invisibile cortina,(5)
s'alza a vol secura ed agile
una voce di bambina.

e dintorno a questa ronzano,
tutte a volo, unite e strette,
e la seguono e rincorrono,
voci d'altre giovinette.

Per noi prega, O santa Vergine,
per noi prega, O Madre pia;
per noi prega, esse ripetono,
o Maria! Maria! Maria!

Quali note! Par che tinnino
nell'infrangersi del cuore: (6)
paion umide di lagrime,
paion ebbre di dolore.

Oh! qual colpa macchiò l'anima
di codeste prigioniere?
qual dolor potè precorrervi
la fiorita del piacere? (7)

Queste bimbe, queste vergini
in che offesero Dio santo,
che perdòno ne sospirano
con sì lungo inno di pianto?

Manda l'organo i suoi gemiti
tra'l fumar de' cerei lento:
di lontane plaghe sembrano
cupe e fredde onde di vento...

Dalle plaghe inaccessibili
cupo e freddo al vento romba:
già sottentra ai lunghi gemiti
il silenzio della tomba.


1) Dalla parte più interna del convento.
2) "Cerei" è forma antica per "ceri".
3) Vengono detti in modo frettoloso e distratto.
4) Lamentose litanie.
5) Da un luogo nascosto (le ragazze avviate al monacato non potevano mostrarsi a nessuno)
6) Il canto sembra risuonare da un cuore che si spezzi per il dolore.
7) Precedono il fiorire (la fiorita) di quelle gioie che sono proprie dell'adolescenza.



Il santuario





Come un'arca d'aromi oltremarini, (1)
il santuario, a mezzo la scogliera,
esala ancora l'inno e la preghiera
tra i lunghi intercolunnii de' pinii; (2)

e trema ancor de' palpiti divini (3)
che l'hanno scosso nella dolce sera, (4)
quando dalla grand'abside severa
uscia l'incenso in fiocchi cilestrini.

S'incurva in una luminosa arcata
il ciel sovr'esso: alle colline estreme
il Carro è fermo (5) e spia l'ombra che sale. (6)

Sale con l'ombra il suon d'una cascata (7)
che grave nel silenzio sacro geme
con un sospiro eternamente uguale.



1) Uno scrigno che contenga profumi di paesi lontani.
2) Lo spazio tra pino e pino, quasi fossero colonne.
3) Le preghiere a Dio.
4) Si sono levati con tanta forza che la chiesa stessa ne sembrò vibrare.
5) La costellazione dell'Orsa.
6) "L'ombra che sale" è l'avanzare della notte.
7) La risacca.



Anniversario


Già li vedevo gli occhi tuoi (1), soavi
seguirmi sempre per il mio cammino,
chinarsi mesti (2) sul mio capo chino,
volgersi, al mio dubbiar, dubbiosi e gravi.

Come col dolor tuo mi consolavi,
come, o cuore vivente oltre il destino! (3)
come al tuo collo ti tornai bambino
piangendo il pianto che su me versavi!

Or che rivivo alfine, (4) or che trovai
ah! le due parti del tuo cuore infranto, (5)
ora quell'occhio più che mai materno... (6)

No: tu con gli altri, al freddo, all'acqua, stai,
con gli altri, (7) solitari in camposanto,
in questa sera torbida d'inverno.


1) Gli occhi della madre.
2) Mesti per la consapevolezza delle sventure del figlio.
3) La madre sembra vivere con il figlio oltre la morte.
4) Ho trovato una nuova serenità.
5) Il poeta ha ricostruito la famiglia, riunendosi alle sorelle tanto care alla madre.
6) Gli occhi della madre sembrano guardarlo come fossero vivi.
7) I famigliari defunti.



Tre versi dell'Ascreo




Nella prima strofa sono elaborati tre versi di Esiodo (detto Ascreo perchè nato nella città di Ascra in Boezia) che invitano alla purificazione del corpo in un limpido fiume, come premessa alla purificazione dell'anima. Lo spunto classico però si colora nella seconda strofa della tipica moralità pascoliana e il fiume perenne e purificatore diventa simbolo del dolore, ineliminabile nel mondo ma che ci rende più buoni.

"Non di perenni fiumi passar l'onda,
che tu non preghi volto alla corrente
pura, e le mani tuffi nella monda
acqua lucente"

dice il poeta. E così guarda, o saggio,
tu nel dolore, cupo fiume errante:
passa, e le mani reca dal passaggio
sempre più sante...

I tre grappoli




La poesia è un libero rifacimento di un passo di Diogene Laerzio che attribuisce al saggio Anacarsi una breve osservazione sugli effetti del vino.

Ha tre, Giacinto, (1) grappoli la vite.
Bevi del primo, il limpido piacere (2);
bevi dell'altro l'oblio (3) breve e mite;
e...più non bere:

ché sonno è il terzo,(4) e con lo sguardo acuto
nel nero sonno vigila,(5) da un canto,
sappi, il dolore; e alto grida un muto
pianto già pianto. (6)


1) Giacinto Stiavelli, poeta e giornalista, amico di Pascoli.
2) La gioia di un bicchiere di vino.
3) Quando si beve dimenticando i dispiaceri.
4) Ti fa dormire ubriaco.
5) Nel sonno dell'ubriachezza vigila il dolore.
6) Il vino riporta in superficie dolori antichi già sofferti.

Sapienza



Sali pensoso la romita (1) altura
ove ha il suo nido (2) l'aquila e il torrente,
e centro della lontananza oscura (3)
sta, sapiente.

Oh! Scruta intorno gl'ignorati abissi:
più ti va (4) lungi l'occhio del pensiero,
più presso viene quello che tu fissi:
ombra e mistero.


1) Solitaria.
2) Riferito sia all'aquila che al torrente. Simbolo di vita.
3) L'altura isolata è al centro di vasti spazi, ma simbolicamente c'è idea del mistero che ci circonda.
4) Più scruti a fondo le cose.

Cuore e cielo





Nella vita nascono e si spengono le illusioni in un seguito senza perchè, allo stesso modo che sorgono e tramontano le stelle. La lirica propone due motivi della poesia pascoliana, il tentativo di riassorbire la vita in un sentimento cosmico e il senso del mistero che l'uomo non può penetrare.

Nel cuor dove ogni vision s'immilla,(1)
e spazio al cielo ed alla terra avanza,(2)
talor si spenge un desiderio, e brilla
una speranza:

come nel cielo, oceano profondo,
dove ascendendo il pensier nostro annega,(3)
tramonta un'Alfa,(4) e pullula dal fondo
cupo un'Omega. (5)

1) Si moltiplicano a migliaia. è termine dantesco.
2) è d'avanzo.(la fantasia crea spazi infiniti dove terra e cielo sembrano piccoli)
3) Si perde nell'immensità del mistero
4) Alfa, in astronomia, è la stella principale di una costellazione, ma essendo anche la prima lettera dell'alfabeto greco, indica simbolicamente un inizio e quindi la vita in genere.
5) Dalla profondità degli spazi; Omega è il nome delle stelle secondarie di una costellazione, ma indica anche la morte, in quanto è l'ultima lettera dell'alfabeto greco.

Morte e Sole





Fissa la morte: costellazione
lugubre che in un cielo nero brilla: (1)
breve parola, chiara visione:
leggi, (2) o pupilla.

Non puoi. Così, se fissi mai l'immoto
astro nei cieli solitari ardente,
se guardi il sole, occhio, che vedi? Un vòto
vortice, un niente. (3)


1) è l'immagine simbolica che l'idea della morte suscita nel Poeta.
2) Cerca
3) Allude al fenomeno ottico per cui se si resta abbigliati, si ha l'impressione di scorgere un moto vorticoso di scintille su uno sfondo nero. L'immagine però si muta simbolicamente nell'idea del vuoto che c'è oltre la morte. 

Pianto




La lirica si riduce a due brevi impressioni simboliche, un fiore e un bacio: il primo è l'immagine della bellezza che ha più incanto se la malinconia vi ha lasciato una lacrima; nel secondo è l'idea che l'amore è più dolce se nasce dal pianto.

Più bello il fiore cui la pioggia estiva
lascia una stilla dove il sol si frange;
più bello il bacio che d'un raggio avviva
occhio che piange.

Convivio





La lirica risente di una certa poesia classica di timbro epicureo, dove la vita è rappresentata come un banchetto che si deve lasciare con un composto equilibrio, senza desideri inappagati, né troppa sazietà delle cose.

O convitato della vita,(1) è l'ora,(2)
Brillino rossi i calici di vino;
tu né bramoso più, né sazio ancora,
lascia il festino.(3)

Splendano d'aurea luce i lampadari,
fragri (4) la rosa e il timo dell'Imetto,(5)
sorrida in cerchio tuttavia di cari
capi (6) il panchetto:

tu sorgi e... Triste, su la mensa ingombra,
delle morenti lampade lo svolo (7)
lugubre, lungo! Triste errar nell'ombra,
ultimo, solo!  

1) L'uomo che ha vissuto la vita come un lieto banchetto.
2) Di morire.
3) La vita
4) Abbia profumo.
5) Catena montuosa dell'Attica.
6) Gli amici.
7) L'oscillare della luce che si spegne.



Il passato





Nell'instabilità del poeta, gioia e dolore sfumano sempre l'una nell'altro.

Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto:
un sorriso mi sembra quel pianto.
Rivedo i luoghi, dove ho già sorriso...
Oh! come lacrimoso quel sorriso! 

Tra il dolore e la gioia


Per tutta la vita s'inseguono sogni di felicità, ma quando ci sembra d'averli raggiunti, quei sogni si rivelano vani e subito si spengono.


Vidi il mio sogno sopra il monte in cima;
era una striscia pallida, co' suoi
boschi d'un verde quale mai né prima
vidi né poi.

Prima, il sonante nembo coi velari, (1)
tutto ascondeva, delle nubi nere:
poi, tutto il sole disvelò del pari
bello a vedere.

Ma quel mio sogno al raggio (2) d'un'aurora
nuova m'apparve e sparve in un baleno,
che il ciel non era torbo (3) più né ancora
tutto sereno.  


1) Un ammasso di nubi da cui esce il fragore del tuono (con valore simbolico, è il dolore che insidia i sogni di felicità).
2) Nel breve tempo.
3) Offuscato di nubi.



Nel cuore umano




La lirica invita a non giudicare gli uomini troppo in fretta.

Non ammirare, (1) se in un cuor non basso, (2)
cui tu rivolga a prova,(3) un pungiglione (4)
senti improvviso: c'è sott'ogni sasso
lo scorpione.

Non ammirare, se in un cuor concesso (5)
al male, senti a quando a quando un grido
buono, un palpito santo: ogni cipresso
porta il suo nido. (6)


1) Non meravigliarti.
2) Malvagio, vile.
3) Che tu sottoponga a prova.
4) Un impulso cattivo.
5) Inclinato.
6) Il cipresso, immagine della morte, nasconde spesso un nido, immagine della vita.

Fides






La lirica propone il contrasto fra le illusioni e la realtà ch'è solo sofferenza (la notte tempestosa che richiama la sorte dell'uomo tra le forze oscure della vita).

Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso pareva oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
così (1) fatto è lassù (2) tutto un giardino.

Il bimbo dorme, e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro;
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi (3) al vento, piange alla bufera. (4)


1) Tutto d'oro.
2) Nel Paradiso.
3) Si oppone al vento ed è scosso con violenza.
4) Grondando acqua ad ogni ramo.

Ceppo




La lirica prende l'avvio da una notte di Natale, che richiama un'antica leggenda Toscana: Gesù Bambino è appena nato e la Madonna, che non sa come scaldarlo, passa di casa in casa in cerca di un po' di fuoco, finchè trova una madre più angosciata di lei perchè sta per morire lasciando il suo bimbo solo.


è mezzanotte. Nevica. Alla pieve (1)
suonano a doppio (2); suonano l'entrata.
Va la Madonn bianca tra la neve:
spinge una porta; l'apre: era accostata.
Entra nella capanna: la cucina
è piena d'un sentor (3) di medicina.
Un bricco al fuoco s'ode borbottare:
piccolo il ceppo brucia al focolare.

Un gran silenzio. Sono a messa? Bene.
Gesù trema; Maria si accosta al fuoco.
Ma ecco un suono, un rantolo che viene
di su, sempre più fievole e più roco,
Il bricco versa (4) e sfrigge: la campana,
col vento, or s'avvicina, or s'allontana.
La Madonna, con una mano al cuore,
geme: Una mamma, figlio mio, che muore!

E piano piano, col suo bimbo fiso (5)
nel ceppo, torna all'uscio, apre, s'avvia.
Il ceppo sbracia (6) e crepita improvviso,
il bricco versa e sfrigola via via:
quel rantolo... è finito. O Maria stanca!
bianca tu passi tra la neve bianca.
Suona d'intorno il doppio dell'entrata:
voce velata, malata, sognata. (7)


1) Chiesa parrocchiale.
2) Con due o più campane insieme che suonano per l'ingresso del sacerdote a Messa.
3) Odore.
4) Quando l'acqua bolle.
5) Che guarda fisso.
6) Manda faville.
7) Fievole, come in un sogno.



Morto



Questa poesia è nata dalla fusione di due fatti: la morte di un bimbo a Livorno e un sogno che Maria Pascoli faceva frequentemente, quello di stringere in mano dei dolci "svegliandomi al mattino con i pugni ancora serrati." Le mani che non stringono nulla sembrano alludere al mistero e alla vanità della vita.

Manina chiusa, che nel sonno grande (1)
stringi qualcosa, dimmi cosa ci hai!
Cosa ci ha? Cosa ci ha? Vane domande:
quello che stringe, niuno saprà mai.

Te l'ha portato l'Angelo, (2) il suo dono:
nel sonno,(3) sempre lo stringevi, un dono.
La notte c'era, non c'era il mattino. (4)
Questo (5) ti resterà. Dormi, bambino.


1) Il sonno della Morte.
2) L'Angelo della Morte.
3) In sogno.
4) Quando si svegliava.
5) Il dono dell'Angelo, ovvero la Morte.

Orfano




è una variazione di "Fides".

Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana (1) dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;
canta una vecchia,(2) il mento sulla mano.

La vecchia canta: intorno al tuo lettino
c'è (3) rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo s'addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.


1) La culla.
2) La nonna.
3) Ci sono (il singolare per il plurale è frequente nel linguaggio popolare).

Abbandonato




La lirica contrappone alle promesse di una felicità oltremondana la necessità di gioie e di affetti terreni.

Nella soffitta è solo, è nudo, muore. (1)
Stille su stille gemono dal tetto. (2)

Gli dice il Santo - Ancora un po'; fa' cuore - (3)
Mormora (4) - il pane; è tanto che l'aspetto.

L'Angelo dice - Or viene il Salvatore - (5)
Sospira - Un panno pel mio freddo letto -

Maria dice: - è finito il tuo dolore! -
- Oh! mamma io voglio, e dormire al suo petto - (6)

Lagrima a goccia a goccia la bufera
nella soffitta. (7) Il Santo veglia, assiso;

L'Angelo guarda, smorto come cera;
La Vergine Maria piange un sorriso. (8)

Tace il bambino, aspetta sino a sera,
all'uscio guarda, coi grandi occhi, fiso.

La notte cade, l'ombra si fa nera;
egli va, desolato, (9) in Paradiso.


1) è un bimbo che muore.
2) Il mormorio della pioggia.
3) "Fra poco cesseranno i tuoi dolori".
4) è il bimbo che sta morendo a mormorare.
5) La morte sarà consolata dalla visione di Cristo.
6) Perchè era rimasto orfano.
7) Gocce di pioggia entrano nella soffitta.
8) Sorride fra le lacrime.
9) Non ha avuto nulla al mondo.



La civetta





La civetta che vola nella notte e desta gli uccelli nei nidi è l'immagine della morte che desta l'uomo dalle sue illusioni. La sua presenza è come un'ombra che si sovrappone alla vita, anche se il mondo addormentato nei suoi sogni sembra ignorarla. E come nel silenzio della notte la voce della civetta è l'unico segno di vita, così la morte è l'unica realtà che ci è dato conoscere.

Stavano neri al lume della luna
gli erti cipressi, guglie di basalto, (1)
quando tra l'ombre svolò (2) rapida una
ombra dall'alto:

orma sognata (3) d'un volar di piume,
orma d'un soffio molle di velluto,
che passò l'ombre e scivolò nel lume
pallido e muto; (4)

ed i cipressi sul deserto lido
stavano come un nero colonnato,
rigidi, ognuno con tra i rami un nido
addormentato.

E sopra tanta vita addormentata
dentro i cipressi, in mezzo la brughiera
sonare, ecco, una stridula risata
di fattucchiera: (5)

una minaccia stridula seguita,
forse, da brevi pigolii sommessi,
dal palpitar di tutta quella vita
dentro i cipressi.

Morte, che passi per il ciel profondo,
passi con ali molli come il fiato,
con gli occhi aperti sopra il triste mondo
addormentato;

Morte, lo squillo acuto del tuo riso
unico muove l'ombra che ci occulta (6)
silenziosa, e, desta all'improvviso
squillo, sussulta; (7)

e quando taci, e par che tutto dorma
nel cipresseto, trema ancora il nido
d'ogni vivente: ancor, nell'aria, l'orma
c'è del tuo grido.


1) Simili a cime rocciose.
2) Volò via da un cipresso.
3) Il volo quasi inavvertito, come in un sogno, che sposta appena un lieve soffio d'aria.
4) Della Luna.
5) Il verso della civetta è come una risata stridula, che sembra diventare una minaccia di morte.
6) Sconvolge le illusioni che ci nascondono la realtà.
7) Riferito a "Ombra".



I due fuchi



Il Poeta che pur rivela agli uomini la nascosta poeticità delle cose e ne abbellisce la vita affinandone la sensibilità, è ignorato e misconosciuto dai più. L'apologo finale chiarisce queste affermazioni: due fuchi (le persone sciocche e superficiali) discorrendo oziosamente, convengono che le api sanno fare soltanto il miele e non sono in fondo di nessuna utilità (come il Poeta, che sa fare soltanto "inutile" Poesia).

Tu poeta, nel torbido (1) universo
t'affisi, tu per noi lo cogli e chiudi
in lucida (2) parola e dolce verso;

dì ch'opera è di te ciò che l'uom sente
tra l'ombre vane, tra gli spettri nudi. (3)

Or qual n'hai grazia (4) tu presso la gente?

Due fuchi (5) udii ronzare sotto un moro. (6)
Fanno queste api quel lor miele (il primo
diceva) e niente più: beate loro!
E l'altro: e poi fa afa (7): troppo timo!


1) Oscuro, minaccioso.
2) Chiara.
3) L'unica realtà vera che l'uomo può cogliere gli è data dal poeta (il resto è solo apparenza, illusione)
4) Merito, ricompensa.
5) I maschi delle api.
6) Il gelso.
7) Dà la nausea.



Il cacciatore



Come il cacciatore scopre d'un tratto la preda, così il poeta coglie all'improvviso uno spunto d'ispirazione e si abbandona con tutto se stesso; ma quando vuol tradurlo in parole, il verso è come la freccia che abbattendo l'uccellino ne ha spento l'ebbrezza di volo: la visione poetica diventa opaca e insignificante, perchè la materialità della frase uccide l'immediatezza dell'impressione. Così la gioia del poeta che aveva inseguito immagini appaganti, si muta nel tormento di non poterle esprimere come vorrebbe.

Frulla un tratto l'idea nell'aria immota;
canta nel cielo. Il cacciator la vede,
l'ode; la segue: il cuor dentro gli nuota. (1)

Se poi col dardo, come fil di sole
lucido e retto, bàttesela (2) al piede,
oh il poeta! gioiva; ora si duole.

Deh! gola d'oro (3) e occhi di berilli (4)
piccoletta del cielo alto sirena, (5)
ecco, tu più non voli, più non brilli,
più non canti: e non basti alla mia cena. (6)


1) Gli balza.
2) Se l'abbatte.
3) è l'uccellino dal canto armonioso e, simbolicamente, l'ispirazione poetica.
4) Una pietra preziosa.
5) Per il canto che attira e inebria.
6) Alle mie esigenze di espressione. 





Il lauro





Un ricordo di Massa (dove Pascoli visse tra il 1884 e il 1887).
L'alloro (segno tradizionale di fama) diventa l'immagine dei sogni di gloria inseguiti dal poeta, e il ragazzo che al posto dell'albero mostra un campo di cavoli, rappresenta l'uomo comune.

Nell'orto, a Massa - o blocchi di turchese, (1)
alpi Apuane! o lunghi intagli azzurri
nel celestino, all'orlo del paese!

Un odorato e lucido verziere (2)
pieno di frulli, pieno di sussurri,
pieno de' flauti delle capinere.

Nell'aie acuta la magnolia odora,
lustra (3) l'arancio popolato d'oro - (4)
io, quando al Belvedere (5) era l'aurora,
venivo al piede d'uno snello alloro.

Sorgeva presso il vecchio muro, presso
il vecchio busto d'un imperatore,
col tronco svelto come di cipresso.

Slanciato avanti sopra il muro, al sole
dava la chioma. Intorno era un odore,
sottil, di vecchio, e forse di viole.

Io sognava: una corsa lungo il puro
Frigido (6), l'oro di capelli sparsi,
una fanciulla... Ancora al vecchio muro
tremava il lauro che parea slanciarsi. (7)

Un'alba - si sentia di due fringuelli
chiaro il francesco mio: la capinera
già desta squittinìa (9) di tra i piselli -

tu più non c'eri, o vergine fugace:
netto il pedale (10) era tagliato: v'era
quel vecchio odore e quella vecchia pace;

il lauro, no. Sarchiava lì vicino
Fiore, un ragazzo pieno di bontà.
Gli domandai del lauro; e Fiore, chino
sopra il sarchiello: faceva ombra, sa! (12)

E m'accennavi un campo glauco, o Fiore
di cavolo cappuccio e cavolfiore.


1) Le cime rocciose di lontano assumono color azzurrino.
2) Il giardino illuminato dal sole.
3) Brilla al sole.
4) Con i frutti color dorato.
5) Un colle presso Massa.
6) Un torrente presso Massa.
7) Protendersi verso il sole.
8) è un onomatopea per imitare il verso dei fringuelli.
9) Onomatopeico per "squittiva".
10) La parte inferiore del tronco del lauro.
11) Uno dei figli del contadino che aveva in affitto i poderi attorno alla casa del Pascoli.
12) "Disturbava le coltivazioni, quindi è stato abbattuto"
13) Verde-azzurro, il colore delle foglie del cavolo.





Le femminelle




Come le piante hanno spesso germogli sterili che crescono a spese delle linfe vitali, così l'uomo di genio ha imitatori che vivono sfruttando le sue fatiche.


E dice la rosa alba (1) : Oh! chi mi svelle?
Son mesta come un colchico (2): dal ciocco
tanto (3) mi germinò di femminelle!(4)

Erano come punte tenerine
di sparagio: poi fecero lo stocco; (5)
buttano (6) anch'esse e s'armano di spine.

Vivono de' miei fiori color d'alba,
d'alba rosata; e tu non gioivi, o ruta. (7)
Mettono un boccio: una corolla scialba,
subito aperta, subito caduta. (8)


1) Rosa selvatica di colore bianco.
2) Pianta dei prati montani; "mesta" per l'effetto dei suoi fiori violacei.
3) Un gran numero.
4) Germogli che non producono frutto.
5) S'ingrossarono.
6) Mettono nuovi germogli.
7) La ruta è una pianta con foglie aromatiche il cui olio è molto caustico ma inefficace a bruciare le femminelle.
8) Le femminelle sono sterili.

Nota di Lunaria: anche il Poeta Mario Luzi in "Già colgono i neri fiori dell'ade" cita il colchico: "Decade sui fiochi prati d'eliso/sui prati appannati torpidi d bruma/il colchico struggente/più che il tuo sorriso".



Arano



è una lirica che si prolunga in un'ombra di malinconia: i campi spogli, la monotonia del lavoro del contadino, la nebbia; solo nel finale, il canto degli uccelli regala vitalità.

Al campo, dove roggio (1) nel filare
qualche pampano (2) brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche (3) con sua marra (4) paziente;

ché il passero saputo (5) in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti (6) del moro (7);
e il pettirosso: nelle siepe s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro. (8)


1) Rosso rugginoso.
2) Foglia di vite.
3) La terra rialzata tra solco e solco, che il contadino spianta dopo la semina.
4) Zappa. "Paziente" indica la lenta e costante fatica con la quale è usata.
5) Accorto, intelligente, perchè sa che tra poco i contadini se ne andranno e potrà scendere nei solchi, per beccare le sementi; per questo nel cuore è già lieto.
6) Senza foglie.
7) Gelso.
8) Il canto del pettirosso.



Di lassù




L'allodola diventa l'immagine dei sogni rivolti a una sperata felicità. Biagini ha notato un'analogia tra questa Poesia e un passo dei "Promessi sposi": "I campi... luccicanti" del Manzoni qui diventano "qualche zolla...luccica".

La lodola perduta nell'aurora (1)
si spazia, e di lassù canta alla villa, (2)
che un fil di fumo qua e là vapora (3);

di lassù largamente bruni (4) farsi
i solchi mira quella sua pupilla
lontana, e i bianchi bovi a coppie sparsi.

Qualche zolla nel campo umido e nero
luccica al sole, netta come specchio:
fa il villano mannelle (5) in suo pensiero, (6)
e il canto del cuculo (7) ha nell'orecchio.


1) è una reminiscenza dantesca; "si muove nello spazio".
2) è il paese e la campagna circostante.
3) Manda fuori dai comignoli.
4) Per la terra smossa dall'aratro.
5) Piccoli fasci di grano e fieno.
6) Il contadino pensa a quando le spighe saranno mature e potrà mieterle.
7) Il cuculo è un uccello migratore e torna dal sud in aprile: il contadino sogna di sentirne il canto come annunzio di primavera.



Galline




Al cader delle foglie, alla massaia
non piange il vecchio cor, come a noi grami (1) :
ché d'arguti (2) galletti ha piena l'aia;

e spessi nella pace del mattino
delle utili galline ode i richiami:
zeppo, il granaio; il vin canta nel tino.

Cantano a sera intorno a lei stornelli
le fiorenti ragazze occhi pensosi,(3)
mentre il granturco sfogliano, e i monelli
ruzzano nei cartocci strepitosi.(4)


1) Miseri, immalinconiti per l'autunno.
2) Dalla voce argentina.
3) Dagli occhi pensosi.
4) Le foglie secche che avvolgono le pannocchie e che mandano un caratteristico scricchiolio.

Lavandare




Nel campo mezzo grigio e mezzo nero (1)
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero. (2)

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca, (3)
e tu non torni ancora la tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!  (4)
come l'aratro in mezzo alla maggese. (5)


1) Il campo è arato a metà e le zolle rivoltate hanno un colore più scuro.
2) La nebbia.
3) Dai rami cadono le fronde come fiocchi di neve.
4) è la traduzione in italiano di due stornelli marchigiani.
5) Il campo lasciato in riposo dopo un periodo di coltivazione, secondo l'uso della rotazione delle colture.

I due bimbi




I due bimbi si rizzano (1): uno, a stento,
indolenzito; grave,(2) l'altro: il primo
alza il corbello (3) con un gesto lento;

e in quel dell'altro fa cader (4), bel bello,
il suo tesoro d'accattato fimo (5):
quello va più carico (6) e più snello.

Il vinto siede, prova un'altra volta
coi noccioli, li sperpera, (7) li aduna,
e dice (forse al grande olmo che ascolta?) :
E poi si dica che non ha fortuna!


1) Erano seduti per un gioco simile ai dadi.
2) è il vincitore.
3) Cesto di vimini.
4) Ha perso e deve pagare.
5) Letame raccolto qua e là.
6) "Più carico" per il peso che ha tolto al compagno, ma l'euforia della vittoria lo fa camminare più snello.
7) Li getta come si fa con i dadi.



La via ferrata



In origine la poesia era intitolata "Il telegrafo"

Tra gli argini su cui mucche tranquila
mente pascono, bruna si difila (1)
la via ferrata che lontano brilla;

e nel cielo di perla dritti, uguali,
con loro trama delle aeree fila (2)
digradano in fuggente ordine i pali.(3)

Qual di gemiti e d'ululi rombando
cresce e dilegua femminil lamento? (4)
I fili di metallo a quando a quando squillano,
immensa arpa sonora, al vento.


1) Si snoda dritta.
2) L'insieme dei fili del telegrafo sospesi tra i pali.
3) I pali sembrano gradatamente più piccoli a mano a mano che sono più lontani dall'occhio.
4) Il fischio del treno che sopraggiunge e si allontana sembra un gemito di donna.

Festa lontana



Uno scampanìo lontano suggerisce al Poeta immagini che alludono al corso e al significato della vita: lo slancio dell'infanzia, la necessità di consolazione per la nostre sorte di dolore, la tristezza della morte.

Un piccolo infinito (1) scampanìo
ne (2) ronza e vibra, come d'una festa
assai lontana, dietro un vel d'oblio.

Là, quando ondando (3) vanno le campane,
scoprono i vecchi per la via la testa
bianca, e lo sguardo al suol fisso (4) rimane.

Ma tondi gli occhi sgranano i bimbetti,
cui trema intorno il loro ciel sereno. (5)
Strillano al crepitar de' mortaretti. (6)
Mamma li stringe all'odorato seno. (7)


1) Fioco e continuo.
2) Da quel villaggio lontano.
3) Il suono va e viene a onde, portato dal vento.
4) Le campane richiamano il pensiero della morte.
5) Ai bimbi il cielo sembra vibrare di felicità.
6) Nel momento più solenne del rito religioso, si usava in certi paesi far scoppiare i mortaretti sul sagrato della chiesa.
7) Immagine di derivazione omerica.



Quel giorno




Dopo rissosi cinguettii nell'aria,
le rondini lasciato hanno i veroni
della Cura (1) fra gli olmi solitaria.

Quanti quel roseo campanil bisbigli (2)
udì, quel giorno, o strilli di rondoni
impazienti a gl'inquieti figli!

Or nel silenzio del meriggio urtare
là dentro odo una seggiola, una gonna
frusciar d'un tratto: alla finestra appare
curioso un gentil viso di donna.


1) La chiesa parrocchiale.
2) Il canto vario degli uccelli.

Mezzogiorno





L'osteria della Pergola è in faccende:
piena è di grida, di brusìo, di sordi
tonfi; il camin fumante a tratti splende. (1)

Sulla soglia, tra il nembo degli odori
pingui (2), un mendico brontola: altri (3) tordi
c'era una volta, e altri cacciatori.

Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
e dai remoti campanili intorno
un'ondata di riso (4) empie la villa. (5)


1) Per il fuoco che si ravviva.
2) Grassi e densi.
3) Migliori, diversi.
4) Il suono festoso delle campane.
5) Il paese.

Già dalla mattina




Il Poeta invita le diverse parti di un mulino, ad affrettare la macinatura; l'asino, invece più realista, sa che dovrà passare un bel po' di tempo prima che la farina sia pronta e il pane impastato e cotto.

Acqua,(1) rimbomba; dondola, cassetta; (2)
gira, coperchio (3), intorno la bronzina; (4)
versa, tramoggia (5), il gran dalla bocchetta.

spolvero, svola. (6) Nero da una fratta
l'asino attende già dalla mattina
presso la risonante cateratta. (7)

Le orecchie scrolla e volgesi a guardare,
ché tardi,(8) tra finire (9), andar bel bello (10),
intridere, spianare ed infornare,
sul desco fumerai, pan di cruschello.(11)


1) Quella che fa muovere la ruota del mulino.
2) L'assicella concava e oscillante, posta sopra la macina, per farvi scendere a poco a poco il grano.
3) Indica la ruota che gira attorno al suo perno.
4) Cuscinetto di bronzo nel quale gira l'albero del mulino.
5) Recipiente con un'apertura sulla base (bocchetta) dalla quale scende il grano nella cassetta e nella macina.
6) Il velo leggero della farina che si alza e rimane nell'aria durante la macinatura.
7) La chiusa che dà l'acqua al mulino.
8) "Tardi" è riferito a "fumerai".
9) La macinatura.
10) Recarsi senza fretta dal fornaio.
11) Fatto con farina e crusca.



Carrettiere




Il carrettiere che passa tra luoghi minacciosi ma che si addormenta nel sogno di un'incantata felicità, ci propone la condizione dell'uomo che nelle tempeste della vita trova rifugio in sognate illusioni.

O carrettiere che dai neri monti
vieni tranquillo, e fosti (1) nella notte
sotto ardue rupi, sopra aerei ponti;

che mai diceva il querulo aquilone (2)
che muggìa nelle forre (3) e fra le grotte?
Ma tu dormivi sopra il tuo carbone.

A mano a mano lungo lo stradale
venìa fischiando un soffio di procella (3):
ma tu sognavi ch'era di natale;
udivi i suoni d'una cennamella. (4)


1) Sei passato.
2) Vento di tramontana. "Querulo" perchè soffia lamentoso.
2) Burroni.
3) Tanto più il carro avanza lungo la strada, tanto più cresce la tempesta.
4) è uno strumento a fiato, simile alla zampogna.



In capannello



Il treno che passa indica simbolicamente il desiderio d'evasione dalla vita uguale e indifferente del paese.

Cigola il lungo e tremulo cancello (1)
e la via sbarra: ritte allo steccato
cianciano le comari in capannello:

parlan d'uno ch'è un altro scrivo scrivo; (2)
del vin che costa un occhio, e (3) ce n'è stato (4):
del governo; di questo mal cattivo; (5)

del piccino; del grande ch'è sui venti; (6)
del maiale, che mangia e non ingrassa -
Nero avanti a quelli occhi indifferenti
il traino (7) con fragore di tuon passa.


1) Il cancello che sbarra il passaggio a livello.
2) Tale e quale; identico. è espressione toscana.
3) Eppure.
4) In abbondanza.
5) Una pestilenza.
6) I figli piccoli e grandi delle comari.
7) Il treno. "Traino" è una forma che si ritrova in Carducci.



Il cane




Il carro è il corso lento e fatale della vita che lascia dietro di sé l'affaccendarsi dell'uomo.

Noi mentre il mondo va per la sua strada, (1)
noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
e perchè vada, e perchè lento vada.

Tal, quando passa il grave carro avanti
del casolare, che il rozzon normanno (2)
stampa il suolo con zoccoli sonanti,

sbuca il can dalla fratta (3), come il vento;
lo precorre (4), rincorre; uggiola, abbaia.
Il carro è dilungato (5) lento lento.
Il cane torna sternutando all'aia.

1) Si muove indifferente verso la sua meta.
2) Cavallo di fatica (è espressione ariostesca).
3) Cespuglio.
4) Lo precede.
5) si è allontanato.

O Reginella



La poesia descrive una fanciulla che andrà sposa. Il poeta crea un dittico: nel primo madrigale ci presenta la fanciulla lieta e operosa nella casa paterna; nel secondo ci sono i rimpianti dei genitori, la sera della nozze; il primo madrigale presenta dei riferimenti omerici: i versi iniziali rovesciano il senso di un passo dell'"Odissea" (VI, 25-28), la seconda strofa sono la rielaborazione dei versi omerici VI 154-159, e omerico è anche l'epiteto "dalle bianche braccia", "leuchòlenos".

Non trasandata (1) ti creò per vero
la cara madre: tal, lungo la via,
tela albeggia, (2) onde godi in tuo pensiero:

presso (3) è la festa, e ognuno a te domanda
candidi i lini, poi che in tua balìa (4)
è il cassone odorato di lavanda.

Felici i vecchi tuoi; felici ancora
i tuoi fratelli; e più, quando a te piaccia,
chi (5) sua ti porti nella sua dimora,
o reginella dalle bianche braccia.


1) Pigra e disordinata.
2) Tanta tela hai messo a sbiancare all'aperto. (in Toscana e Romagna si credeva che il chiarore della Luna rendesse più bianca la tela appena tessuta).
3) Vicina.
4) La ragazza ha il governo della casa, e quindi dispone anche del cassettone della biancheria.(ciò spiega il "Reginella" del titolo)
5) Chi ti sposerà.



Ti chiama




Quella sera (1) i tuoi vecchi (odi? ti chiama
la cara madre: al fumo della bruna
pentola, con irrequieta brama, (2)

rissano i bimbi: frena tu, severa,
quinci una mano trepida, quindi una
stridula bocca, e al piccol volgo impera;

sì che in pace, tra un grande acciottolìo,
bruchi (3) la sussurrante famigliola),
quella notte i tuoi vecchi un dolor pio
soffocheranno contro le lenzuola. (4)


1) La sera delle nozze. "I tuoi vecchi" sono i genitori della ragazza.
2) La voglia di mangiare.
3) Mangi.
4) Nasconderanno il pianto per la figlia che è andata sposa e li ha lasciati.

O vano sogno




Al camino, ove scoppia la mortella (1)
tra la stipa (2), o ch'io sogno, o veglio teco (3):
mangio teco radicchio e pimpinella. (4)

Al soffiar delle raffiche sonanti,
l'aulente (5) fieno sul forcon m'arreco, (6)
e visito i miei dolci ruminanti:

poi salgo, e teco - O vano sogno! Quando
nella macchia fiorisce il pan porcino, (7)
lo scolaro i suoi divi (8) ozi lasciando
spolvera il badiale (9) calepino (10):
chioccola il merlo, fischia il beccacino;
anch'io torno a cantare (11) in mio latino.

 
1) Mirto.
2) Arbusti minuti che servono ad accendere il fuoco. Anche le Myricae sono "stipa".
3) Con te. Forse è da riferirsi alla Reginella delle poesie precedenti, oppure una donna del quale Pascoli si innamorò.
4) La pimpinella è un erba che si mangia in insalata.
5) Profumato.
6) Lo porto per cibo alle mucche.
7) Il ciclamino, che fiorisce in autunno.
8) Quasi da Dei, per la loro serenità.
9) Grosso, ponderoso.
10) Il calepino è il vocabolario latino, così chiamato da Ambrogio da Calepio che nel XVI secolo compilò uno dei primi vocabolari di lingua latina.
11) A ripetere le mie lezioni, quasi fossero noiose cantilene.



Dialogo




Colloquio tra passeri e rondini: i primi si contentano di poco, sia in campagna, sia in città con la neve. Le rondini invece spaziano nel cielo e conoscono le terre d'oltremare dove emigrano, ma non sanno che niente può pagare la gioia delle piccole cose quotidiane. Nella poesia compaiono i suoni del canto degli uccelli: le onomatopee.

Scilp (1): i passeri neri su lo spalto (2)
corrono, molleggiando. (3) Il terren sollo (4)
rade la rondine e vanisce in alto:

Vitt...videvitt. (5) Per gli uni (6) il casolare,
l'aia, il pagliaio con l'aereo stollo; (7)
ma per l'altra il suo cielo ed il suo mare.

Questa (8), se gli olmi ingiallano la frasca, (9)
cerca i palmizi di Gerusalemme (10):
quelli, allor che la foglia ultima casca,
restano ad aspettar le prime gemme.

Dib dib bilp bilp: e per le nebbie rare,
quando alla prima languida dolciura (11)
l'olmo già sogna di rigermogliare,

lasciano a branchi la città sonora
e vanno, come per la mietitura,
alla campagna, dove si lavora.

Dopo sementa (12) presso l'abituro
il casereccio passero rimane:
e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro
saluta le migranti oche lontane.

Fischia un grecale (13) gelido, che rade (14):
copre un tendone (15) i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.

E tutto è bianco e tacito al mattino:
nuovo (16): e dai bianchi e muti casolari
il fumo sbalza, qua e là turchino.

La neve! (Videvitt (17): la neve? il gelo?
ei (18) di voi, rondini, ride:
bianco in terra, nero in cielo
v'è di voi chi vide...vide...videvitt?)

La neve! Allora, poi che il cibo manca,
alla città dai milla campanili
scendono (19), alla città fumida e bianca;
a mendicare. Dalla lor grondaia
spìano nelle chiostre (20) e nei cortili
la granata o il grembiul della massaia. (21)

Tornano quindi ai campi, a seminare (22)
veccia e saggina (23) coi villani scalzi,
e -videvitt- venuta d'oltremare
trovano te che scivoli, che sbalzi,

rondine, e canti; ma non sai la gioia
-scilp- della neve, il giorno che dimoia. (24)


1) il suono del verso del passero.
2) Bastione.
3) L'andatura dei passeri a terra è quasi ondeggiante.
4) Soffice.
5) Vuole imitare il rapido stridio delle rondini.
6) I passeri.
7) L'alto palo attorno al quale si ammucchia il fieno nelle aie.
8) è la rondine.
9) Quando arriva l'autunno, e le foglie si ingialliscono.
10) Emigra al Sud.
11) Un debole tepore tra il freddo.
12) Dopo la semina, quando sarà giunto l'inverno.
13) Vento di nord-est.
14) Spazza via ogni cosa.
15) Un velo pesante di nubi.
16) Con la neve il paesaggio sembra diverso.
17) Il passero rifà il videvitt alla rondine per canzonarla d'essersene andata proprio ora che la terra è bianca e il cielo è nero (pensa forse al colore delle rondini?)
18) Il gelo, che sembra irridere le rondini indifese. I passeri si meravigliano di vedere ancora le rondini mentre c'è la neve.
19) I passeri.
20) Recinti.
21) Se la scopa spazza fuori o il grembiule lascia cadere qualche briciola da beccare.
22) Tornano nei campi a primavera, quando i contadini iniziano i lavori agricoli.
23) Una leguminosa e una graminacea, erbe diffuse nei campi.
24) Si scioglie.



Nozze





Come l'usignolo, anche il poeta dà il suo canto per nulla, senza interessi pratici e concreti, ma i critici e i lettori insensibili ("la rana") non capiscono la purezza della sua poesia.

Dava moglie la Rana al suo figliolo.
Or con la pace vostra, o raganelle,
il suon (1) lo chiese ad un cantor del brolo.(2)

Egli cantò: la cobbola (3) giuliva
parve un picchierellar trito di stelle (4)
nel ciel di sera, che ne tintinniva.

Le campagne addolcì quel tintinnìo
e neri boschi fumiganti d'oro. (5)

[qui segue un testo in greco, i versi di Aristofane
presi dagli "Uccelli"]

è notte: ancora in un albor di neve (6)
sale quest'inno come uno zampillo;
quando la Rana chiede, quanto deve (7):

se quattro chioccioline, o qualche foglia
d'appio,(8) o voglia un mazzuolo di serpillo (9),
o voglia un paio di bachi, o ciò che voglia.

Oh! rispos'egli: nulla al Rosignolo,
nulla tu devi delle sue cantate:
ei l'ha per nulla (10) e dà per nulla: solo,
sì l'ascoltate e poi non gracidate.

Al lume della luna ogni ranocchia
gracidò: quanta spocchia, quanta spocchia! (11)


1) La musica per le nozze.
2) L'usignolo.
3) La cobbola è un componimento tipico dell'antica poesia provenzale. Qui indica il canto dell'usignolo.
4) I trilli minuti e veloci del canto sembrano frammenti di stelle che urtandosi tintinnino il cielo. "Trito" perchè ridotto in frammenti.
5) è il pulviscolo dorato del tramonto.
6) In una chiara luminosità.
7) Quanto deve pagare all'usignolo.
8) Erba della famiglia del sedano.
9) Varietà di timo.
10) Il canto gli sorge spontaneo.
11) Superbia.



Il Mago



"Rose al verziere, rondini al verone!" (1)

Dice, e l'aria alle sue dolci parole
sibila d'ali, (2) e irta siepe fiora. (3)
Altro il savio potrebbe (4); altro non vuole;
pago se il ciel gli canta e il suol gli odora;
suoi nunzi (5) manda alla nativa aurora, (6)
a biondi capi intreccia sue corone. (7)


1) è il canto del poeta, che evoca le cose.
Il verziere è il giardino.
2) Si riempie di uccelli che volano.
3) La siepe fiorisce.
4) Il savio, cioè il saggio mago-poeta, potrebbe volere altre cose, ambizioni di gloria o interessi pratici di persuasione, e tuttavia li respinge.
5) I suoi versi.
6) "Nativa" perchè il poeta nasce dove nasce il Sole, è figlio di Apollo, dio della luce e del canto.
7) La Poesia si rivolge a chi è giovane, perchè è più aperto alle emozioni e meno sensibile alla categoria dell'utile.

Il miracolo



Ogni strofa è caratterizzata da immagini di colore diverso (bianco, verde, azzurro, arancione, nero) e sull'uso insistente delle vocali; c'è quindi il tentativo (simile al sonette "Voyelles" di Rimbaud)
di stabilire una coincidenza tra il colore e il suono della vocale che lo caratterizza.

Vedeste, al tocco suo, (1) morte pupille! (2)
Vedeste in cielo bianchi lastricati (3)
con macchie azzurre tra le lastre rare;

bianche le fratte (4), bianchi erano i prati,
queto fumava un bianco casolare,
sfogliava il mandorlo ali di farfalle. (5)

Vedeste l'erba lucido tappeto,
e sulle pietre il musco (6) smeraldino;
tremava il verde ciuffo del canneto,
sbocciava la ninfea nell'acquitrino,
tra rane verdi e verdi raganelle.

Vedeste azzurro il ruscello
fuori dei monti, fuor delle foreste,
e quelle creste (7), aereo castello,
tagliare il cielo un lembo più celeste:
era colore di viola il colle.

Vedeste in mezzo a nuvole di cloro (8)
rossa raggiar (9) la fuga de' palazzi (10)
lungo la ripa, ed il tramonto d'oro
dalle vetrate vaporare a sprazzi,
a larghi fasci, a tremule scintille.

Dormono i corvi dentro i lecci oscuri,
qualche fiaccola va pei cimiteri;
dentro i palazzi, dentro gli abituri,
al buio, accanto ai grandi letti neri,
dormono nere e piccole le culle.


1) Del Poeta.
2) La Poesia rende veggenti i ciechi.
3) Le nuvole.
4) Macchie.
5) I petali che cadevan dal mandorlo sembravano ali di farfalle.
6) Muschio.
7) Il crinale di una catena montuosa.
8) Un colore arancione, come quello delle nuvole al tramonto.
9) Risplendere dei colori del tramonto.
10) Il susseguirsi dei palazzi, quasi in prospettiva.



In alto




Nel ciel dorato rotano i rondoni.

Avessi al cor, come ali, così lena! (1)
Pur (2) l'amerei la negra terra infida, (3)

sol per la gioia di toccarla appena,
fendendo al ciel (4) non senza acute strida.
Ora quel cielo sembra che m'irrida,
mentre vado così, grondon grondoni. (5)


1) Altrettanta forza, come quella dei rondoni.
2) E tuttavia.
3) Insidiosa.
4) Volgendo il volo verso il cielo.
5) Lentamente e ricurvo.

Gloria



La lirica ha origine dall'episodio dantesco di Belacqua che rimane a riposare affinchè affrettarsi alla purificazione ("Purgatorio" IV. 106), ma il richiamo a Dante si muta immediatamente nella teorizzazione di un modo nuovo di poesia: la figura di Belacqua perde il significato negativo che aveva in Dante per diventare il simbolo del poeta che ascolta le piccole voci della natura, senza aspirare alla gloria: c'è quindi il rifiuto dei grandi temi oratori di origine carducciana e l'affermazione di un mondo poetico più umile.


- Al santo monte (1) non verrai, Belacqua (2) ? -

Io non verrò: l'andare in su che porta (3) ?
Lungi è la Gloria, e piedi e mani vuole; (4)
e là (5) non s'apre che al pregar (6) la porta,

e qui star dietro il sasso a me non duole,
ed ascoltare le cicale al sole,
e le rane che gracidano, Acqua acqua!


1) Al Purgatorio. (l'invito è ricalcato su parole dantesche)
2) Fors Duccio da Bonavia, liutaio fiorentino; in Dante, simbolo della pigrizia.
3) Che giova.
4) La salita è aspra e faticosa.
5) Il significato è doppio: l'ingresso al purgatorio e il conseguimento della gloria.
6) Con preghiere nel poema dantesco, con rinunce nel simbolismo di Pascoli.



Contrasto




Come il vetraio trasforma la materia vile nelle trasparenti fioriture del vetro soffiato, così il poeta trasfigura la semplice realtà in un mondo incantato.

Io prendo un po' di silice e di quarzo (1):
la fondo; aspiro; e soffio poi di lena (2):
ve' (3) la fiala (4), come un dì di marzo,(5)
azzurra e grigia, torbida e serena!
Un cielo io faccio con un po' di rena
e un po' di fiato. Ammira: io son l'artista.(6)

Io vo per via guardando e riguardando,
solo, soletto, muto, a capo chino:
prendo un sasso, tra mille, a quando a quando:
lo netto, arroto, (7) taglio, lustro, (8) affino:
chi mi sia, non importa: ecco un rubino;
vedi un topazio; prendi un'ametista.


1) Elementi della composizione del vetro.
2) Con forza.
3) Troncatura di "vedi".
4) Il piccolo vaso di vetro soffiato.
5) Dai colori mutevoli come il cielo a primavera.
6) Con poche cose, l'artista crea un mondo di bellezza.
7) Lo levigo.
8) Lo rendo lucido.



La vite e il cavolo




è un apologo che contrappone alla vite l'umiltà del cavolo: se l'uva produce il vino che rallegra, il cavolo dà una quieta soddisfazione.
Simbolicamente, la vite rappresenta la grande poesia celebrativa, mentre il cavolo è il poeta che cerca le piccole cose della natura.


Dal glauco (1) e pingue cavolo si toglie
e fugge all'olmo (2) la pampinea (3) vite,
ed a sé, tra le branche (4) inaridite,
tira il puniceo (5) strascico di foglie.

Pace, o pampinea vite! Aureo (6) s'accoglie
il sol nel lungo tuo grappolo mite;
aurea la gioia, (7) e dentro le brunite
coppe ogni cura in razzi d'oro scioglie. (8)

Ma, nobil vite, alcuna (9) gloria è spesso
pur di quel gramo (10), se per lui l'oscuro
paiol borbotta con suo lieve scrollo;

e il core allegra al pio villan (11), che d'esso
trova odorato il tiepido abituro,
mentre a'fumanti buoi libera il collo.



1) Il colore verde-azzurro.
2) Spesso alle viti rampicanti viene dato come sostegno un albero.
3) Perchè le sue foglie sono dette pampini.
(è una reminiscenza omerica)
4) I rami sottili e rampicanti.
5) Color rosso porpora.
6) Il sole sembra rimanere nel colore dorato dell'uva.
7) Il vino dorato ci dà gioia.
8) Il vino brilla nelle coppe quasi con raggi luminosi.
9) Un po'.
10) Dell'umile cavolo.
11) Il contadino.